venerdì 23 maggio 2008

La città ai tempi delle barricate.

Cari meltingmindiani, se avete 5minuti di tempo: un parere rapido sull' "editoriale" che una rivista ("Vita Magazine", il nome: argh! NdA)mi ha commissionato.
Devo rivederlo e poi inoltrarlo, dunque ogni suggerimento non sarà vano.
(Cercate di capirmi: la rivista è di volontari no profit, però ha buoni contatti)




Prova a immaginare un mostro dal corpo informe, dalle orbite vuote, dall’alito fetido e con le zampe che sgocciolano percolato. Un abominio che si scatena contro i più umili ma si lascia inghiottire dall’ombra di fronte a potenti, ai capi di Stato, alle cerimonie ufficiali. Un abominio indecifrabile, cinico, immorale. Sembrano spuntate le armi della tecnica e della politica – le uniche veramente utili a combatterlo –, fuse in un corto circuito mediatico. Tutto si risolverà, come al solito, a contare quante buche, quanti treni occorreranno per smembrarlo. Che illusione per chi ancora non è fuggito? Una città, una nazione s’inginocchiano confidando in attese messianiche, sconvolgimenti purificatori. Quale può essere il tuo ruolo in questo disastro morale prima che civile, dal momento che sei tra quelli che l’abominio l’hanno sempre studiato da vicino, facendo i nomi di chi l’ha generato e nutrito, per dare l’allarme prima che la creatura s’ingozzasse troppo? Ma così saltano tutte le regole, entrano in gioco apprendisti stregoni, arringatori di folle, si grida al “santo subito!”. E sembra rinascere la vecchia Babilonia, dove l’unica legge è l’anarchia.

Allora, comprensibilmente, ti chiedi perché restare. Perché prestare il tuo tempo e le tue energie a questa tragedia, anziché volgere il tuo sguardo altrove, lasciare che se la sbrighino da soli, allontanandoti dal marciume e dalle mosche; respinto come un rifiuto –tu stesso!- dalla città che hai sempre abitato. Per esempio la figlia neolaureata del mio vecchio preside, splendida ventenne piena di speranze, quante storie come la sua, storie di emigrazione forzata. Niente bagagli, niente saluti: «Scappo via da questa fogna. Provate a fermarmi, se ci riuscite». E se n’era andata sbattendo la porta. Altri rimangono bloccati davanti l’uscio: la spazzatura ha ostruito pure quello. Una città dove il più semplice degli spostamenti diventa un travaglio, con il traffico atrofizzato, gli scioperi selvaggi e i marciapiedi invasi dai motorini; una città dove anche il più elementare diritto, quello di camminare, viene ostacolato, non è forse una città sotto assedio?

Però poi, guardandoti attorno, ti accorgi che in quell’assedio non ci sei tu solo, afflitto dall’umiliazione dei media e soffocato dall’indifferenza. Perché nel disastro ci sono energie che si spengono ed altre che si riattivano, ti accorgi che qualcuno non aspetta la carta stampata per raccontarsi e raccontare, anche con veemenza, il proprio angolo infestato dall’abominio. Sotto i suoi effetti anche ciò che sembrava immutabile è cambiato, e ha assunto forme inaspettate: puoi osservarlo, parlarne. La condivisione del dolore è una forma limitata di solidarietà, non c’è dubbio, ma la fuga e l’oblio sono vigliaccheria.


E non puoi non immaginarti Marianna, la Marianna-di-vico-Paradiso, bella già a tredici anni, ora che ne ha diciotto e non potrebbe mai andare via, già con due bambini e con un negozio da mandare avanti, Maria che si prova e si guarda allo specchio i vestiti che sono propri della compagnia con cui esce: jeans attillati, stivali bianchi, camicetta, scollatura accentuata, abbronzatura fresca di solarium. Buona parte delle sue forme sono in mostra, ma a che serve? Tutti i giovanotti di largo Ecce Homo si sono dileguati, sorseggiare una birra in compagnia della monnezza il sabato sera è una depressione senza fine. Lo sa bene anche il vecchietto che abita sopra al bar Kestè, quello che riempiva i ragazzi di secchiate d'acqua, ogni notte, tra le risate generali. Seduto melanconicamente al balcone, un’ottima posizione per scrutare il disastro lì sotto - ora chi trova più pace di lui?


Ti chiedi perché restare. Forse perché quel Ciruzzo, che sino a poco fa era ancora Ciruzzo-del-bar-ultrà, Ciruzzo-del-videopoker, si è tramutato ad un tratto in Ciruzzo-delle-barricate, colui che ha visto i fondachi del vico Cavone assediati ed è insorto, finendo sotto un cappotto di manganellate. È successo il finimondo: mamme, zie, sorelle, sono scese in strada per strapparlo alla polizia, lasciando basiti i passanti. Probabilmente qualcuno diffonderà il video su Youtube, strappandosi i capelli per l’animalità della plebe. Eppure quello che io ho visto era altro, era una sfilza di donne in pigiama, credimi, che da sole hanno affrontato e preso per la collottola l’abominio di plastica nera, contrattaccandolo lì dove si era scatenato: proprio nell’alveo dei vicoli, nelle strettoie che sono insieme i polmoni e l’asfissia del popolo. Ti chiedi se valga la pena assistere a questo scempio, a questa deriva sudamericana controllata magari anche dalla camorra: ma i clan non c’entrano, i loro affari predatori non prevedono questo caos; c’entra l’esasperazione, che porta taluni a scappare ed altri a reagire con violenza. Guerriglia a bassa intensità, ti dico: e se Immacolata non si fosse messa a capo delle vasciajole di Salvator Rosa, nel rione di Materdei, non ci sarebbe stato nessuno a raccontare la sua storia. Gli abitanti delle periferie, di Pianura e di Scampia, quelli non possono neanche battersela: il privilegio è riservato alla gente comoda del centro della città e dei quartieri alti, proprietari, professionisti, la borghesia agiata che è la prima a disertare il campo di battaglia.

Ti chiedi perché restare. Forse perché esiste un mondo di associazioni e gruppi attivisti, sopravvissuti alle faide camorristiche, alla crisi economica, all’emigrazione di intere classi di liceali e universitari, che nonostante tutto continuano a respirare, e che raccontano questa realtà con slanci superbi. Molti laureandi, studenti, figli di buona famiglia sono scappati o hanno rinnegato la cronaca, fingendo di trovarsi in questo delirio per caso; altri invece si sono ritrovati soli con la plastica bruciata e col fumo, ma non per questo si sono rintanati in casa: la paralisi forzata di quest’enorme energia giovane, inimitabile in qualunque altro posto, danneggia la mente e i muscoli, riduce a uno stato di apatia irreversibile.

Il gaudioso e inconsistente carro armato governativo, avviato verso le fiamme e le barricate, dovrebbe comprendere questo, quali energie si stanno dissipando; quali danni morali, civili ha prodotto questa tragedia, e non solo quelli materiali. Capirebbero che la vera sfida non è sopravvivere ma ritrovare la volontà di resistere. E di non intraprendere la strada che finora sembra obbligata: niente bagagli, niente saluti, vado via da questa fogna. Ti chiedi se valga la pena mettere mano allo schifo anziché lasciarlo marcire. Occorrerebbe un vero motivo per convincerti: a un Consiglio dei Ministri non chiederemmo altro.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao palo,
bell'editoriale! niente giornalismo arido..
Mi piace molto l'intreccio di racconti, personaggi, aneddoti.. Tutta la parte centrale suona perfetta.
Ho qualche dubbio su inizio e fine, invece.
E' bello il tono apocalittico e visionario dell'inizio, ma forse la deriva metaforica porta qualche problema di comprensibilità. Magari dando un appiglio di comprensibilità nelle primissime righe poi risluta più semplice calarsi nel turbinio di metafore che sgeue. La fine invece è un po' sbrigativa. Mi riferisco alle ultime due/tre righe. Suonano in apparente contraddizone con il resto (motivo per lottare/motivo epr andarsene) e la capriola concettuale che fai è così rapida da poter sfuggire..
Ultima cosa, il "tu" che usi a volte è enigmatico...come quando dici "credimi" (nel pezzo delle donne in pigiama) non si capisce a chi ti stai riferendo.
Per il resto è molto bello, in particolare, come ti dicevo, la parte centrale.

In bocca al lupo con la rivista! (a proposito, ma Vita Magazine non è una rivista di CL? Se è quella che penso io, edita a Milano, io andavo al liceo col figlio del direttore, tale Bonacina....)

abbraccio monnezzoso

F

paulmoss ha detto...

Egregio,
non dubitavo della puntualità e della profondità della sua risposta..!almeno Lei!
mmm..come sempre alcuni tuoi dubbi sono anche i miei..non so perché una volta che ti appigli ad un'intro che ti piace poi è difficile liberartene, ma vedrò di correggere.
Sulla parte finale, non so, non mi ha dato quest'impressione di incomprensibilità/confusione, però magari mi sto sbagliando. Il senso è: "nonostante ce la mettiamo tutta/vedete che spreco di energia si sta verificando?/ fateci continuare a sperare altrimenti prima o poi ci romperemo il cazzo" (in soldoni).
"Vita", a meno che non abbia preso una enorme cantonata, è una rivista iper-laica dedicata al non profi (infatti il sottotitolo orrendo è "non profit magazine") ed è diretta da un distinto intellettuale di sinistra...forse sono andato nella redazione sbagliata?!