martedì 22 dicembre 2009

Narcisismo.

La cultura del narcisismo, come la chiamava Christopher Lasch, è cresciuta sul fallimento dei movimenti e delle rivoluzioni. Ci si è illusi - ci si è lasciati illudere - di una chissà quale diversità, unicità. Un’illusione anestetizzante che, mediante il ritornello secondo cui ognuno di noi è irripetibile e straordinario, apriva invece le porte all’omologazione e all’impotenza.

La grande pubblicità fa continuamente riferimento alla eccezionalità del singolo. I grandi manuali di self-help, dai motivatori di manager ai polpettoni di Coelho, parlano sempre dandoci del 'tu', fortissimamente 'tu', e mai del 'voi'. E meno che mai parlano di 'noi'. Come vincere, come star meglio, come sentirsi realizzati. Come e chi. Ma rispetto a cosa?

La logica è quella del divide et impera, coniugato all'infinitesimale: è molto più facile fare presa su una pagliuzza lasciata sola, piuttosto che su un gruppo compatto e consapevole.

Quanto tempo passiamo a consumare la nostra stessa immagine? Quante volte ci ripetiamo i nostri obiettivi e i nostri successi, veri o presunti, usando solo l'io come metro di giudizio? Poi un giorno ci si risveglia, come per uno shock, e si scopre che quell'io è stato travolto dalla realtà, senza preavviso, senza avvertimenti, e davanti la porta avevamo una montagna di lettere e di messaggi che volevano parlarci, confrontarsi, chiedere aiuto. Ma il tempo è così poco, dannazione!, il rifugio nella singolarità è un segno dei tempi e pure va capito chi non sa opporsi.

Forse bisognerebbe saper essere unici senza essere soli.

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