giovedì 13 dicembre 2007

We Italians have our destiny in our hands more than ever before - Discussione?

Se andate su questo link:

http://www.nytimes.com/2007/12/13/world/europe/13italy.html?_r=2&hp&oref=slogin&oref=slogin#

potete leggere l'ultimo articolo che il New York Times ha dedicato all'Italia.
Al di la di tutti i miei post deliranti, stavolta mi piacerebbe davvero discutere un attimo con voi di questa situazione.

Io sono sinceramente rattristato dal constatare che, alla fine della fiera, io non sono "partito" dall'Italia. Io sono emigrato.
Come avevano fatto i fratelli di mia nonna in America. Come hanno fatto i miei genitori da Palermo a Milano.
Mi sono accorto che il tornare indietro e', almeno al momento, una scelta assolutamente svantaggiosa. E un po' deprimente.
Non sono contento di questo. Affatto.
E' buffo che io, che non sono mai stato patriottico in nessun modo, senta davvero rabbia e tristezza adesso quando vedo la situazione italiana..
In realta' quello che mi lascia piu' amareggiato sono i ragazzi della nostra eta'. Qui ad esempio vivo con tre ragazzi inglesi, che vogliono fare gli artisti. Uno e' uno scultore, uno si occupa di new media, uno e' un artista concettuale. Hanno 22/23 anni. Non si sentono dei falliti. Non si sentono dei coglioni. Organizzano mostre dappertutto, lavorano con concentrazione e coraggio. Non sono eccezionalmente geniali ne' audaci. Ma riescono a credere in quello che fanno e dunque riescono a farlo.
In Italia, lo sappiamo tutti bene, se vuoi fare l'artista ti senti/vieni difinito (+o- tacitamente) un fallito o un freak. E tu ti comporti di conseguenza, oppure lasci stare..
Il pubblico italiano, soprattutto quello giovane (e io ho esperienza di Milano, che non e' certo l'ultimo paesino) e' mediamente ignorante, abulico, passivo e di un'arroganza sconcertante.
Io ho provato per qualche anno a fare del mio meglio. Poi ho avuto l'occasione di andare via. E ci sono rimasto.
Naturalmente mi accorgo che la scelta di andarsene mi rende ancora piu' impotente nei confronti di questa situazione.
Non voglio fare il solito "italiano all'estero" che si lamente che in madrepatria nessuno rispetta la fila..
Pero' mi accorgo che qui si respira il futuro. La possibilita' di un futuro. E che a Milano non era la stessa cosa.
Mi chiedo, a questo punto, cosa si possa fare.
Sarebbe bello che tutti gli emigrati di questa nuova generazione decidessero di tornare indietro contemporaneamente e di mettere mano alla facenda.
Sarebbe molto bello ma e' altamente improbabile, nonostante la nostalgia che anche io provo. E" improbabile perche', se non si torna tutti insieme, senza uno sforzo congiunto, i pochi coraggiosi si troverebbero completamente invischiati in un ambiente impossibile.
E se andrebbero via di nuovo. stavolta per sempre.
Che fare, mi chiedo? Come fare?

8 commenti:

gaia ha detto...

è molto bello questo intervento, caro federico. molto bello e molto vero...
..mi chiedo solo come mai sia stato proprio tu a introdurre la questione, proprio tu che dall'italia sei lontano...
sorrido..
e penso che il problema fondamentale sia che gli italiani, i giovani, NOI insomma, non ci si rende conto di quanto sia triste questa situazione, perchè ingenuamente si pensa che tutto questo sia "normale".
non è normale stare a casa con i genitori fino a 25anni e oltre,non è normale e non è neanche sano, direi...
non è normale vivere in un Paese dove a 40anni sei considerato un giovane professionista..la vita è adesso, si è giovani a 20 anni, a 40 semmai si è maturi e soddisfatti.
non è normale che un assistente al politecnico non venga neanche pagato, perchè "risarcito dal tornaconto che il nome dell'istituzione dà al suo curriculum"..
non è normale che i tuoi coetanei che lavorano allo spazio oberdan,in triennale ecc.. diano per scontato che se non conosci qualcuno te lo sogni uno stage.
non è normale che si viva per arrivare al venerdi, convinti di essere troppo piccoli per contare qualcosa e che le proprie idee non valgano niente se nessuno ti dà l'approvazione.
e milano è la peggiore delle giungle, perchè a milano si sopravvive, non si vive, respirando la morbosa atmosfera di mediocrità che appiattisce quasi tutti quanti. in questa giungla per sopravvivere devi solo pensare ai cazzi tuoi, ed essere egoista..
questo, personalmente, mi fa schifo.
fede, per quanto riguarda te, il mio consiglio è:
ogni mattina, quando ti lavi il tuo bel musetto con l'acqua fredda ( e mettiamoci un po' di drammaticità, caro emigrante!) di londra, domandati solo una cosa: sto bene qui? sono felice, e soddisfatto di me?
se la risposta è positiva, rimanici ancora un giorno...
e in quella risposta, come tutti sappiamo, non conta solo il lavoro..
a chi stimo, non mi stancherò mai di dire: non accontentarti della luce, pretendi il fuoco!
..io lo sto cercando con tutte le mie forze,dentro di me l'ho trovato, fuori non ancora..se tu lì l'hai trovato, resta e guarda solo avanti.

lafranzine ha detto...

Sapete una cosa? Durante il mio soggiorno a Roma ho conosciuto una realtà diametralmente opposta a quella Milanese. Ho (re)incontrato tanti artisti/creativi/organizzatori convinti di quello che facevano. La frustrazione si ha quando non si è concentrati su quello che si è e che si fa, ma quando ci si concentra solo su quello che si ottiene in termini di risultati. Stimo molto queste persone che non si arrendono e che continuano a fare quello che per loro è importante nei tempi e nei modi che ritengono adeguati, senza dare troppo conto al ritorno che ne hanno. L'unico modo per (soprav)vivere è essere entusiasti di quello che si è e di quello che si fa indipendentemente da tutto. Il mio discorso non è anarchico, come può sembrare ad un primo sguardo disattento, ma si basa sulla teoria della finestra rotta che vi esporrò in questi giorni. Comunque io non sopporto le pontificazioni e chi le fa se non vedo un vero e reale impegno nel cambiamento da parte del suddetto oratore. Chi è davvero impegnato a cambiare il tutto non ha il tempo di fare proseliti. Se ci si arrende allo stato di fatto e si diventa nomadi evitando i conflitti perchè sconfitti in alcune battaglie, con che diritto si chiede agli altri di riuscire in ciò che noi abbiamo abbandonato per primi? La mia stima va a quelle persone che senza gesti eclatanti preparano un mondo migliore, come i genitori. Non capisco tutto questo solo perchè è estraneo da me. Per me quelli che cambieranno le cose non sono i grandi "arrivati", ma quelli, come i professori, che nonostante la paga da schifo e le frustrazioni, continuano a non arrendersi. Chi arriva si è già arreso.

Federico ha detto...

I Professori...
Lo sforzo quotidiano e umile di una esigua minoranza che compie il suo dovere (in maniera umana e genuina) non è sufficiente.
Non bisogna fare di tutto (e a caro prezzo, come so per esperienza familiare) per tenere in piedi una struttura sociale ammalata in maniera terminale (nel senso che il suo futuro è atrofizzato).
Una minoranza disperata come quella dei professori non riuscirà a nulla. Non preparerà nessun futuro. Per il semplice fatto che nel futuro (purtoppo, dal momento che sono figlio di insegnanti) loro non ci saranno: saranno semplicemente morti o troppo vecchi.
Il futuro non è mai fatto dai "genitori": è fatto dai figli.

Sono d'accordo con la Fra che è necessario perseguire i propri obiettivi con determinazione e concentrazione. Ma non è sufficiente: è importante anche che questi non siano troppo piccoli.
Possono essere piccoli in una realtà sociale "sana" (e comunque, a lungo andare, una realtà fatta di migliaia di sogni piccoli finisce immancabilmente per ammalarsi....e noi ne siamo la prova). Ma quella italiana non è sana, e non ha bisogno di una stabilità scadente: ha bisogno di una discontinuità radicale. E per questo i sogni piccoli e sparuti esempi silenziosi non bastano. Forse non basta nemmeno l'erosimo di pochi!
E' strano dirlo ma i sogni seguono le leggi della balistica....per rggiungerli, come dice Machiavelli, bisogna "fare come gli arcieri prudenti, a'quali parendo il loco dove disegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per raggiungere con la freccia a tanta altezza, ma per potere, con l'aiuto di sì alta mira, pervenire al disegno loro."

Per quanto riguarda i predicatori, non ho nessuna intenzione di fare proseliti. Non su questo blog, almeno :)
Ma sono comunque convinto che in alcuni momenti di crisi parole accorate possano avere più efficacia di piccoli esempi silenziosi. E' una questione di massa critica: i singoli esempi (se non eclatanti, eroici e soprattutto coperti dai mass media) non agiscono efficacemente sulla società se non raggiungono un numero sfficiente (vedi ad es. il sacrificio "inutile" di Alekos Panagoulis per svegliare la Grecia dei colonnelli...soffocato dal silenzio della maggioranza).
Hanno smosso molte più coscienze le parole di Marx che le audacie dei comunardi parigini (scusate il paragone ma...io applico alla lettera la teoria dell'arciere!!).
Inoltre, non ho mai sentito una responsabilità specifica nei confronti dela mia "patria". Non credo nememno nel concetto di "patria". Ma le migliaia di giovani "italiani" sono migliaia di miei simili che vedo in una situazione dolorosa...
Io non ne faccio parte, almeno geograficamente.
E la mia scelta di andarmene non è una scelta di "nomadismo" (che per definizione è un movimento cronico), ma semplicemente una emigrazione.
Io non ho mai evitato i conflitti (almeno non quelli sociali). Ma non è di me che si sta parlando.

lafranzine ha detto...

bla bla bla... tutte le persone citate hanno sempre e solo predicato... ma di fatti? Cmq i figli fanno il futuro ma come ben sai caro Fede, gli uomini sono costituiti anche dall'ambiente in cui vivono e dai modelli che hanno (come i genitori). I sogni troppo grandi non valgono nulla se non sono associati a tante piccole azioni... e per citate qualcuno non da meno: Gandhi docet. E' una maratona, non una gara di scatti. Si possono fare grandi cose (vedi l'arte contemporanea) ma se non si colpisco nel vivo le persone, lasciano il tempo che trovano. Caro predicatore.

Federico ha detto...

Non e' una maratona.
E' una gara di scatti.
La storia non e' un flusso continuo che segue le leggi della fisica. La storia e' sempre stata un movimento caotico e irregolare, che va avanti a strappi e strascichi.
Gandhi e' stato di per se' uno scatto vertiginoso. Le sue azioni non sono state piccole ma enormi.
I suoi sogni smisurati.

Forse non e' di Gandhi che abbiamo bisogno, ma certamente non di un'azione sottotono da "piccolo mondo antico". Non si puo' cambiare la struttura sociale di un paese soltanto facendo le persone "appassionate" e "per bene".

gaia ha detto...

ebbene, tutti gli altri? non hanno niente da dire? questo è un blog aperto a tutti, ci piacerebbe sentire l'opinione di altri punti di vista.
rimango in attesa...

Anonimo ha detto...

La verità è che viviamo in un paese vecchio, logoro e incancrenito in ogni parte del sistema: dall’ambiente accademico, a quello artistico, per non parlare della cosa pubblica, nel quale purtroppo non vige la regola meritocratica e coloro che provano ad occuparsene, o si integrano a questo sistema o si avviliscono e mollano o si rassegnano a un futuro senza futuro.

La verità è che abbiamo solo 2 scelte: emigrare o fare la rivoluzione.

Hasta…

Federico ha detto...

Forse hai ragione, Miriam.
E tu che scelta farai?