ORA che è passato del tempo ne parlo. Non della caduta del governo Prodi, ma di cosa scrivevo durante quel periodo convulso, bellissimo e feroce che è l'adolescenza.
Io non ho mai avuto un diario del cuore, ma avevo un'agenda di governo. Eh già. Scrivevo metodicamente e con dedizione ciò che avrei fatto da Presidente del Consiglio. Dovrebbe essere ancora lì, in qualche anfratto del mio hard disk, quel file .exl targato anno 2000, in cui elencavo le mie "proposte" di legge in fatto di immigrazione, legalità, famiglia, difesa nazionale. Devo dirvi anche, per correttezza, che la mia preoccupazione principale non era che questi intenti non si realizzassero, quanto piuttosto che venissero realizzati da altri.
La mia ossessione per la politica era quella di un adolescente che leggeva troppo i giornali e usciva poco dalle mura di casa; la mia ansia di cambiamento era dettata dall'impatto con la realtà che lasciava, invece, piuttosto freddini i miei coetanei - quasi tutti entrati nelle prime turbe ormonali. Tiravao la gente per la giacchetta e chiedevo spiegazioni e mi preoccupava lo stato della Nazione: le risposte quasi sempre erano: goditi la vita, non ci pensare.
In effetti in sette anni i volti, i protagonisti, le vicende, tranne pochissime eccezioni, sono rimasti sempre gli stessi. L'Eterno ritorno dell'uguale. La mia agenda, se aggiornata, subirebbe pochissime modifiche: il tratto ingenuo di un sedicenne potrebbe essere scambiato per un manifesto di qualche associato alla rete di Grillo & co. Eppure tutto questo mi da' anche un senso di inspiegato ottimismo.
Sì, avete capito bene. Ottimista, con un "nonostante" grande come il Pentagono. Nonostante tutto ciò che vediamo sembra rimandare ai nostri incubi peggiori, e sembra un precipizio senza fine dove si riconferma la sola regola del ritorno dell'Uguale (peggiorato, semmai): l'impossibile riforma elettorale, il sempre non-risolto conflitto di interessi, Fede che brinda in diretta, Vespa che gongola insieme a mezzo Vaticano. Ma soprattutto, un Berlusconi più pimpante che mai, con tutta la sua Armata Brancaleone, pronta a fare man bassa di ciò che aveva lasciato sul tavolo due anni fa. E in questo scenario orripilante, persino la bruciatura dell'unica figura presentabile come opposizione al Cavaliere, quel Veltroni che tanto sta scongiurando le elezioni, proprio perchè sa di poter pagare con la sconfitta l'infausto accavallarsi degli eventi.
Ma tutto questo non mi scompone perchè so come abbiamo vissuto anche negli anni più bui, come hanno fatto i nostri padri quando, prima di noi, avevano ancora meno possibilità di scelta. Diciamo la verità: durante gli anni più gretti del governo berlusconi, periodo storico che va dal 2001 al 2006, ci sono stati gli stravolgimenti più importanti della nostra vita; sono stati gli anni di maggiore espansione "creativa" da parte nostra, gli anni in cui abbiamo risolto -forse proprio grazie alla cupezza del contesto politico- molti dei conflitti che ci legavano al nostro vecchio passato "liceale"; sono gli anni, infine, dove siamo maturati alcune volte innamorandoci di noi stessi, altre volte rimanendo schifati di ciò che eravamo stati fino a quel momento. Al contrario, durante gli ultimi due anni, quelli del Cavaliere all'opposizione, molto dell'entusiasmo accumulato nelle "sperimentazioni" precedenti si è indiscutibilmente ridimensionato. Si è ristretto, è evaporato. Molti di noi sono andati via. Torneranno? Nessuno lo sa. Altri vogliono partire. Chissà dove, poi.
In definitiva non si può dire se siamo più felici o più infelici, certo è che un governo -qualunque governo- non influisce più di tanto sulle nostre scelte, sul nostro umore, sul nostro vivere la vita. E non c'entra il tanto blaterato distacco tra cittadini e "casta", no, c'entra piuttosto il nostro essere concentrati principalmente su noi stessi, com'è giusto che sia. E' la superficialità, diciamocelo, il segno che ci contraddistingue nella nostra epoca, e qualunque vento di cambiamento spesso è solo una leggera brezza.
C'è una commedia di De Filippo, da anni non replicata, che s'intitola La paura numero uno, e si svolge negli anni Cinquanta. Il protagonista, Matteo, è ossessionato da un'imminente "terza guerra mondiale" e per questo rende praticamente impossibile la vita a tutti. Per questo la sua famiglia, ormai esasperata, decide di realizzare uno scherzo atroce: un finto giornale radio, nel quale si annuncia, appunto, lo scoppio di un conflitto totale. Ma ecco lo stupore di tutti: Matteo è paradossalmente tranquillizzato dal materializzarsi delle sue fobie -che del resto aveva già vissuto- e assume per la prima volta in vita sua il controllo della situazione. Torna ad essere fiducioso. Alla futura suocera, invece, solitamente estranea ai fatti del mondo, la notizia risveglia recenti paure e un arcaico senso del possesso, tanto che mura il figlio in uno stanzino. Il terrore del passato grava sulla generazione che non riesce a comprenderlo.
Per questo sono ottimista. Chi è abituato a confrontarsi con il peggio e con i pericoli insiti nell'intorpidimento civile, è anche più allenato a sfidare certi demoni: uscire dal bunker dell'apatia non è più un rischio ma una sfida. Sono ottimista, perchè dopo i disastri c'è sempre qualcosa da ricostruire - dal letame nascono i fiori, cantava De Andre'. E poi perchè, in fondo, non c'è bisogno di colpi di Stato per stimolare la creatività, nè di suggestivi artifici letterari: eccola, la realtà, in tutta la sua disarmante scompostezza: è il finale che non finisce, il mostro-terribile-di-fine-livello, quello dei videogame di una volta, che scompare sempre ma non muore mai e si rigenera, pronto per stuzzicare la nostra adrenalina. La parola "fine" la possiamo mettere soltanto noi ed è lì, pronta ad essere scritta.
Lasciatemi dedicare le ultime righe a quei vigliacchi, miserrimi e scontati discorsi che già affiorano in certi salotti: le chiacchierate indignate di Eco con i suoi amici francesi; le prenotazioni Ryanair per la Francia di Michele Serra; la minaccia di suicidio di Grillo; quella di espatrio di tanti scribacchini intellettualoidi, sempre lì a prospettare "l'abbandono della nave". Ma questi figuri sono un po' come noi che scriviamo: eterni voltagabbana di se stessi; gente che starà sempre a galla, mentre chi veramente patisce e patirà un cambio di governo non può mai espatriare, non conosce la Ryainair, non ha amici francesi con i quali commiserare la solita Italietta.
E' tutto così tremendo, lo so. E così fragile è quel fascio di nervi che tiene insieme la volontà del singolo di fronte alle sfide, prima che si sfaldi in un reflusso di disillusione e cinismo. Ma non ci resta altra scelta. Ed con malcelata eccitazione che ricordo quel foglio di impegni presi con me stesso, da ragazzino, quando tante erano le cose da fare e l'entusiasmo era tanto. Fatti due conti, non vedo perche' allora, con i miei brufoli (pochi) e i miei complessi (molti), dovevo avere più motivi per essere ottimista. Ritorno ad essere l'inguaribile idealista di una volta. Quello che, anziché sentirsi martirizzato da quest'orda di barbarie, invita gli altri ad alzarsi e a reagire: niente paura, ci siamo qui noi.
2 commenti:
Mi piace molto questo post.. davvero...
Purtroppo io non sono ottimista riguardo al futuro imminente... ma cazzarola Paolo ha ragione.
In tutto ciò vi inviterei a leggere castells o bauman e i loro studi sulla divisione dei cittadini... esattamente tra quelli di prima fila, che conoscono la Rayanair e quelli che loro chiamano "esclusi", legati al luogo dove vivono.
Comunque bravo Paolo, mi è sembrata davvero un'ottima analisi. :-)
grazie fra!! sei l'unica che mi ha cagato finora e credimi ci ho messo tutto me stesso per spiegare cosa pensavo...senza essere troppo cervellotico!:D
ps. oggi ero a bologna tu e fede ve la siete spassata senza di me, ma domani non mi sfuggite, fatemi sapere ke fate!!ciaoo
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