
Nessuno lo ricorda più, o lo vuole ricordare. Ma ai tempi del G8 di Genova ci si svegliava, da notte, con una telefonata. Ci si vestiva in fretta per accedere la tv, ascoltare con eccitazione il bilancio di feriti e di devastazione, sapendo che in quel marasma c’erano finiti diversi tuoi amici, compagni di liceo, gente normale che aveva deciso di seguire il flusso e d’improvviso non si sapeva più che fine avesse fatto. Si era molto giovani, forse, ancora non propriamente adulti. Però sapevi che l’interesse della tua generazione, o almeno di una sua parte era lì, doveva essere lì. Tra la folla, i manifestanti, o meglio in quella diretta tv tragica e palpitante.
Adesso non succede nulla di tutto questo. Il silenzio su una democrazia che muore soffocata tra i rifiuti è interrotto solo da sbrigative email di conforto, qualche sms grottesco che ti arriva sul cellulare, o peggio striminzite frasi scritte nei programmi di comunicazione istantanea, tipo Messenger o Skype: i tuoi amici, e per estensione, quindi, tutto il resto del mondo, sbrigano la faccenda cambiando il loro status da «passivo» ad «attivo» semplicemente cliccando su un tasto del pc: ulteriori approfondimenti possono turbare, non sono graditi. Ti devi quasi giustificare, e viene quasi spontaneo introdurre questo discorso dicendo: "Scusate se tendo ad essere monomaniacale, ma posso parlare di certe cose solo finché il ferro è caldo. Dopo, ricadrà tutto nell'oblìo, capite?"
No, non lo capiscono. Bisogna vedere "Porta a Porta" per tastare il fondo dove siamo finiti. Sì, avete sentito bene: datela un'occhiata, a Bruno Vespa, e lo spettacolo sarà ancora più tragicomico di quanto già non lo è ora. Ma per lo meno avrete chiara la situazione. Un collegamento in diretta, con i luoghi della rivolta. Fiamme sullo sfondo, una giornalista che sembra Alba Parietti ha il compito di intervistare gente esausta che fa il picchetto da due settimane, tutte le notti, riscaldandosi con i falò sul marciapiede. Come le puttane. Vespa in studio, preoccupato e scandalizzato al tempo stesso, cerca di tenere buoni i rivoltosi con frasi di circostanza: "Sì, vi capisco, ma i sassi sulla polizia non li dovete tirare! Eh! Fatemi il piacere!". E' cascato solo ora sullo schifo che sta vedendo. Prima, oblìo assoluto. Casini, Buttiglione, Alemanno, e mezza opposizione seduta alla sinistra di Vespa, sono talmente scioccati per le immagini di Pianura invasa dai rifiuti, che nemmeno hanno la prontezza per attaccare il centro sinistra. Chissà dov'erano, tutti, prima.
Inquadrato finalmente dalle telecamere, un prete grassoccio, con un berretto di lana in testa, scandisce queste parole contro il conduttore: "Lei non ha capito niente, Vespa! Noi qui siamo pronti a farci ammazzare! Ci scappa il morto, Vespa!" E restituito il microfono, grida ai suoi seguaci: "Basta! Andiamo, seguitemi". S'incammina chissà dove, come un Masaniello del Terzo Millennio, forse verso il nulla. Comunque, esce dallo schermo.
Sempre se fosse una metafora, si potrebbe dire che il prete ribelle ha rotto il tabù della quarta parete, entrando nelle case di chi lo guardava. Ha diffamato i media e la democrazia del telecomando: quando i rivoltosi ti annoiano, cambi canale.
Invece la realtà ti arriva in casa con tutta la crudezza di un carico di rifiuti. Il prete scompare con un effetto a metà tra il grottesco e l'esilarante, ma dopo le risate ti chiedi, appunto: "chissà dove sarà andato?" E in quel momento ti bussano alla porta, e scopri che centinaia di tonnellate di rifiuti sono in viaggio attraverso l'Italia. Il governo chiede la solidarietà delle Regioni, come si faceva ai tempi del Terremoto in Irpinia, nel 1980. Nei porti della Sardegna, però, sono già intervenuti gli indipendentisti. Probabilmente sarà la prima e ultima occasione di ottenere un po' di visibilità, come salvatori del suolo natìo invaso dall'immondizia. Sia, chiaro, mi sto riferendo alla spazzatura, non agli speculatori costruttori di ville papponi che manco un euro di tasse volevano pagare.
E' la più grave crisi strutturale, civile, ambientale dell'ultimo quarto di secolo, in Italia. Ma io lo so, so per certo che nessuna maestra spiegherà ai bambini che occorre riflettere tutti quanti, non sul fatto che i napoletani consumano troppo o che se non si fa la differenziata si muore sommersi dalle cacche, ma che se si lascia una fetta di Paese abbandonata a se stessa, prima o poi gli scarti di questa te li puoi ritrovare davanti casa. Con buona pace di Montezemolo, gli stilisti milanesi, i produttori di mozzarelle, gli albergatori amalfitani e tutto il loro fottutissimo danno all'immagine.
Non vi distraete! Le sento le voci dell'insofferenza, nelle ultime file... Sento anche il qualunquismo rognoso, le semplificazioni indotte dal nostro vivere frenetico: "Ah, Napoli? Sempre così, da quelle parti." "Va bene tutto, mi dispiace per loro, ma proprio qui ce la devono portare, l'immondizia?". E di fronte a questi inoppugnabili ragionamenti degni della nostra epoce è inutile autocommiserarsi. E' inutile ricordare quando tua madre, imperterrita, ti sgridava se buttavi una bottiglia di plastica con l'umido, e che ora anche lei è costretta a sentirsi immischiata con i ladroni che quella spazzatura, a monte, non la volevano smaltire. E' inutile spiegare come, per anni, si siano fatte campagne stampa, interventi politici, occupazioni di aule assembleari e d'istituti scolastici, per gridare all'Italia: "Siamo sommersi". Oggi un gruppo di studenti ha occupato anche Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli, esponendo uno strisicone con su scritto: "La vera monnezza sta qui", tra gli applausi della folla. Tutto inutile. Svanirà anche questo, lontano dal potere. E' inutile spiegare ai divulgatori faciloni che la sfiducia delle Regioni meridionali nei confronti della differenziata, in fondo deriva anche da questa consapevolezza: cioè sapere che tua madre si spezzerà la schiena a dividere la munnezza che altri rimetteranno insieme, laddove non si deve. E' un meccanismo perverso di sfiducia che solo un governo centrale forte e deciso può rompere, o mutare.
La metafora dei rifiuti e degli uomini da essi sommersa è la più facile e crudele, la più spietata e inappellabile. Tutti possono fare 2+2 e trarne le conclusioni che vogliono. A poco serve ricostruire la catena delle responsabilità, spiegare chi ha fatto cosa, che non sempre i governanti sono quelli che ci meritiamo. Per lo meno, non quelli che si merita una buona fetta di popolazione.
Avendo parlato a lungo di crisi della democrazia rappresentativa (con Federico) e di impegno individuale (con Francesca), mi chiedo se abbiamo fatto abbastanza, nel nostro disinteresse collettivo, per meritarci un nuovo modello più giusto e più coinvolgente di democrazia, nel primo caso; e nel secondo, cosa altro dobbiamo fare, cos'altro devono fare quelle anonime formichine che hanno sempre indicato con la zampetta il cumulo di merda nell'indifferenza generale, per potersi finalmente sentire la coscienza a posto e avere così il diritto di criticare? Secondo me le formichine hanno fatto abbastanza. Tocca a noi soggetti benestanti, intellettuali, privilegiati di un Paese dove ancora ci sono i Masaniello, i blocchi portuali e le navi di monnezza, parlare e gridare, denunciare e agire. Mostrare questo agli stranieri: il mondo deve sapere, no? Ma mostrarlo innanzitutto a noi stessi. L'orrore che non è la garbage crisis di queste ore, questa è solo un esempio, ma le mille emergenze lasciate poi risolvere ai tecnici, ai burocrati, ai generali. Agli altri. Perchè noi non possiamo giudicare: non abbiamo elementi. Non possiamo parlare: nn abbiamo la coscienza pulita.
Ammettiamo serenamente la nostra piccolezza, e sotto a scegliere il prossimo capo di noi sudditi.
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