sabato 31 maggio 2008

Human Landscapes


ciao picciotti e picciotte,
scrivo qui un paio di cose in risposta ad alcuni (benedetti e benvenuti) commenti che mi sono arrivati per gli ultimi racconti.
In particolare per te, Filo, che mi avevi lasciato un paio di domande in sospeso riguardo JR.

Vorrei spiegare perché - nonostante possa essere meglio per il "lettore" - non approfondisco il lato "psicologico" dei miei personaggi e mi limito a descriverne soltanto le azioni e l'ambiente. Ok, lo so che suona terribilmente noioso e autoreferenziale, ma, se avrete la curiosità di leggere le prossime righe, forse avrete modo di ricredervi...
Non preoccupatevi, non parlo solo di me. Parlo anche di voi.

Dunque...

Per chi è cresciuto a romanzi, preferibilmente quelli dei due secoli scorsi, capisco che l'assenza di spiegazioni del pensiero dei personaggi, di profonde introspezioni, o anche di semplici carrellate di flussi di coscienza, possa essere un po' spiazzante.
E però, dal momento che questo non è più il secolo scorso, temo che si debba proprio fare a meno..

Per muovermi, qui a Londra, io uso i mezzi pubblici. Ci impiego un tempo infinito, ma è il modo più economico di muoversi.. E così passo ore e ore in compagnia di un numero incredibile di esseri umani, persone che non rincontro e non incontrerò mai una seconda volta ma con cui divido spazi microscopici di interazione. Un'interazione in cui non ci sono parole, non ci sono sguardi (meno che mai), nè sorrisi nè alcun genere di trasparenze da cui possano filtrare i pensieri. Certo, è divertente ogni tanto provare a fare il rabdomante d storie e cesellare un'invenzione su una faccia particolarmente interessante... Ma, ugualmente, quella invenzione non sarà mai altro che una mia invenzione. Niente a che vedere con la realtà.

La realtà... La realtà è fatta di una sequenza di immagini rapide, senza commento sonoro, senza didascalie. La realtà non assomiglia nemmeno a un documentario, ma piuttosto si riflette come in uno specchio nei filmati delle telecamere a circuito chiuso. Il sonoro è annullato, il distacco è totale.
Io credo che, tra le varie forme di espressione visiva, i video delle telecamere di sorveglianza siano di gran lunga quella più contemporanea. La più simbolica della contemporaneità, la più ricca e la più onesta.
Io cerco di scrivere in questo modo.
Declino volentieri la tentazione di scrivere introspezioni della claustrofobia maniaco-depressiva di soggetti isolati (a dire il vero un tipo di scrittura altrettanto valida,onesta e contemporanea, ma insostenibile per la mia povera anima fragile :) ) e mi concentro sulle persone, sul paesaggio umano in cui trascorro le mie giornate.
Ed è proprio un "paesaggio umano" quello in cui cammino ogni giorno. Sembrano persone, camminano come persone, a volte parlano tra loro, ma....se fossero alberi, volpi o torrenti non farebbe alcuna vera differenza.
Sono solo immagini, che sfumano in sequenza accelerata lungo i nastri delle strade. E così sono io per loro.
Io li riporto come li vedo, senza nemmeno quel filo di nostalgia che - devo ammettere - nella vita vera a volte mi lascia un po' di tristezza.

E' per questo, Filo, che qando ho scritto JR (e altri racconti) non solo non sono sceso nella profondità dei loro pensieri ma, anzi, non ho nemmeno messo un aggettivo per descrivere le loro espressioni o i movimenti.
Quando cammino per strada, le espressioni e i movimenti delle persone non hanno in sè alcun aggettivo e non lasciano trasparire alcun pensiero. Non ne hanno nè la volontà nè il tempo. Nè io ho il tempo per accorgermene.
forse dovrei fermarmi, bloccare i passantie fargl domande. Oppure sforzarmi di comprendere ciò che si nasconde dietro le espressioni stereotipate..inventare..
Ma io non sono nè un testimone di geova della domenica mattina, nè un indovino..
Le strade sono piene di azioni/reazioni, riferimenti, citazioni, bisogni, risate, convenevoli, ipod.
Ma i pensieri, la psicologia e tutto quello che si agita nell'animo, per strada non cammina.
Sonnecchia nel profondo dei personaggi, lontano dagli occhi degli sconosciuti.
Forse, quando alla fine ritornano a casa, quando si infilano sotto le coperte o si spogliano nella doccia, forse allora esce allo scoperto.
Ma io non sono un guardone pervertito.
A dire la verità, caro Filo, io sono soltanto uno di loro.
Sono l'impiegato addetto alle telecamere di sorveglianza, senza l'animo feroce del poliziotto, con troppi nastri da visionare contemporaneamente e nemmeno il tempo per inventare un'empatia con quel milione di immagini.
Per questo scrivo così di loro. O di noi.

8 commenti:

paulmoss ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
paulmoss ha detto...

mmh....figo!

però fammi almeno leggere questo racconto, JR (c'entra qualcosa con il telefilm Dallas?), così magari ci capisco qualcosa anch'io...

riguardo ai tuoi paesaggi umani..beh che dire, se si tratta di rinunciare alla formula stilistica del narratore-onnisciente, che entra nella mente e nei pensieri dei personaggi che racconta, benvenga questa rinuncia! se però ti concentri su una descrizione piatta e asettica come il video di una telecamera di sorveglianza, beh, devi essere bravo a sapertela gestire, per non farla sembrare anche troppo arida. Devi pure metterci qualche albero, qualche fiore in questo paesaggio umano, per renderlo "umano" anche al lettore..non so se mi spiego.

Unknown ha detto...

Anch'io sono curiosa di leggere JR...forse me lo sono persa nella selva dei post del melting...Mi piace molto quello che dici sui video delle telecamere della sorveglianza.In effetti,è una realtà muta la nostra nella quale il rischio è proprio quello di perdersi nel proiettar noi stessi su gli altri,arrivando ad un'iperinterpretazione delle altre persone,senza aver riscontri reali.
Mi sa che non si capisce un cazzo di quello che penso...doh!

Unknown ha detto...

Anch'io sono curiosa di leggere JR...forse me lo sono persa nella selva dei post del melting...Mi piace molto quello che dici sui video delle telecamere della sorveglianza.In effetti,è una realtà muta la nostra nella quale il rischio è proprio quello di perdersi nel proiettar noi stessi su gli altri,arrivando ad un'iperinterpretazione delle altre persone,senza aver riscontri reali.
Mi sa che non si capisce un cazzo di quello che penso...doh!

Jallo ha detto...

come metodo é senza dubbio interessante, ma non vuol dire che sia interessante anche il risultato. leggo volentieri i tuoi racconti non per il gusto di rivedere sotto altra forma ciò che potrei vedere in una videocamera a circuito chiuso o leggere nella cronaca di un giornale (ma questo lasciamo stare perché ci sono un casino di cronisti che si credono romanzieri). li leggo volentieri per gustare l'umano/disumano che il tuo occhio (o meglio i tuoi molteplici occhi) fa emergere dalla cruda realtà.
per questo lamentavo una forma troppo impersonale. anzi, ho pensato che l'avessi scritto in forma di scaletta pensando farne un corto, qualcosa da cui partire per essere poi articolato in narrazione visuale.

Jallo ha detto...

se pubblichi il racconto sarei curioso di sapere cosa ne pensano gli altri

paulmoss ha detto...

E infatti, leggiamolo questo cazzo di racconto!:)

In ogni caso, non mi sembra che questo metodo sia stato applicato nei "Tre documenti" di fantascienza, dove anzi l'aspetto psicologico-descrittivo dei protagonisti emerge con prepotenza - finendo addirittura col sommergere il contesto futuristico, a mio avviso, ma non era facile.

Unknown ha detto...

fede e'facce legge sto racconto...!