martedì 9 settembre 2008

Il Fine Ultimo di Ogni Conquista / Borders

Leggere i libri che ti servono per scrivere una tesi è, indubbiamente, la parte più bella di tutto il lavoro. Soprattutto quando scopri che molti argomenti, molti autori che credevi lontanissimi, invece sono collegati da correnti sotterranee, da temi comuni, da analogie inaspettate.

Per esempio, dopo essermi fatto vedere sul litorale salentino immerso in improbabili tomi di antropologia delle religioni, sono tornato in quel di Napoli passando a letture dedicate ai borders, ai confini tra nazioni, culture, civiltà. Pian piano che mi dipanavo tra etnografia, economia e storia contemporanea, una serie di domande si facevano largo nell'ipotetico abstract che dovrei comporre: come si trasforma la cultura di chi emigra e come cambia il suo rapporto con la terra d'origine? E ancora: che cosa succede alle identità quando queste si ibridano nei nuovi luoghi di residenza? E quali sono i contenuti umani – psicologici, emotivi e culturali – che stanno dietro e dentro le cifre che, senza dire nulla della carne e del sangue, dei pensieri e degli affetti, si limitano a misurare gli spostamenti umani nella società contemporanea? E infine: qual è il rapporto che lega i tratti culturali, sub-religiosi delle identità "viaggianti" con i contesti economici e le dinamiche del potere?
Sono domande che, inevitabilmente, riguardano un po' tutto il Fine Ultimo, ideato ben prima di questa tesi. E dunque riguarda me, riguarda noi tutti, non sarà un caso che sia così, forse è solo il naturale succedersi dei punti interrogativi che ognuno si pone nelle varie fasi della vita.

Pensavo al luogo del mio secondo incontro con la Frontiera - il primo era stato tra l'umidiccio dei fiumi e delle foreste -: lontano, a Nord, nelle polveri e nel deserto di Sonora, in zone difficilmente raggiungibili in cui la geografia porta nomi di tribù indiane e di colonnelli. L'autobus della Estrella Blanca, partito il giorno prima da Ciudad Juarez e che effettuava il viaggio di ventidue ore per Tijuana, stava facendo tappa a Nogales. Nogales è un pallino rosso su quella linea nera, tratteggiata e semi retta che per tre-quattro centimetri di cartina - tremila kilometri nella realtà - divide il Messico dagli Stati Uniti. Un avamposto nel nulla, circondato dal nulla: alle spalle l'impressionante vastità degli spazi desertici, di fronte la muraglia di cemento armato alta 5 metri e protetta con il filo spinato.

Pensando e parlando diborders, ero finito su un libro di Kapuscinski, eccellente report polacco morto nel 2007. In Imperium, viaggio tra le Repubbliche socialiste sovietiche, nel 1967 scriveva così:

"L'avvicinarsi di una frontiera aumenta sempre l'eccitazione, intensifica l'emozione. La gente non è fatta per vivere in situazioni di frontiera, cerca di sfuggire o di liberarsene prima possibile. E tuttavia non fa che imbattercisi, trovarle e sentirle ovunque."

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