Helena Janeczek: "Purtroppo dire “siamo tutti Saviano” non basta, anzi l’effetto è in parte anche contrario a quello desiderato. Perché alla fine solo Saviano è Saviano, solo Saviano è quello sotto scorta, minacciato di morte, ricusato dal parroco di un paese che non ha pronunciato nulla di simile nei confronti dei boss. E voglio ribadirlo: Saviano non è ovviamente l’unico potenziale bersaglio delle mafie e non è l’unico a vivere sotto scorta, ma è un bersaglio privilegiato proprio in quanto simbolo. Più ci si schiera dietro al suo nome, più lui diventa simbolo e come simbolo diventa unico, diventa solo. E il fatto che così pochi lo appoggiano proprio laddove dovrebbe invece essere appoggiato primariamente, non fa che accrescere la pericolosità di questo meccanismo."
(...)I Wu Ming con spirito simile hanno lanciato lo slogan di “desavianizzare” Saviano. Carla Benedetti e Giovanni Giovanetti sul sito de “Il primo amore” propongono di “Condividere il rischio” facendo e ospitando inchieste su temi non solo legati alla criminalità organizzata..."
Giuseppe Genna: "Posso inviare mail a Saviano, posso telefonargli, posso esprimere la mia solidarietà in ogni modo - ma il fatto è che Saviano, quando denuncia questa solitudine, sta esprimendo qualcosa che in pochi comprendono, a partire dall'ex ministra Melandri, che vuole lanciare la campagna "Nessuno tocchi Saviano": gran conoscenza della retorica, nel loft PD, visto che lo slogan richiama Caino e immediatamente viene in mente che Saviano è Caino, cioè uno che ha ucciso un fratello. Ecco, qui sta la solitudine di Saviano - emblematicamente sta qui, in questa miscomprensione di ciò che sente e che, se esprime pubblicamente ciò che sente (il che è una delle condanne implicite comminategli: se parla, parla sempre pubblicamente, corrono a sentire cosa ha da dire), scatena una reazione che è quella dello spettacolo della solidarietà. Sai quanto gliene frega a un camorrista delle magliette con su scritto "Nessuno tocchi Saviano"? Questa ignoranza, questa adesione incommensurabilmente idiota allo spettacolo, questa quintessenza del Paese unificato da un'omertà consapevole (quella di chi continua a tutelare sul territorio i Casalesi, senza rendergli la vita impossibile lì, a casa loro) e un'omertà frizzantemente buona e spettacolarmente inutile, perfino lugubre in quanto già coi caratteri di ciò che è è postumo...
Di fronte a ciò: come fare sentire a Roberto Saviano che non è solo?"A scanso di equivoci: non siamo stati noi.
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