sabato 23 maggio 2009

ALL-TIME 10 TOP DIRECTORS

#5 - Luis Bunuel



Quando nel 1928 e '30 gira a Parigi i suoi primi film, Un chien andalou e L'âge d'or, Buñuel definisce d'impeto la sua poetica, con le sue contraddizioni. Del primo, anche se la regia è di Buñuel, può dirsi coautore Dalì. Del secondo, cui Dalì collabora al soggetto ma di cui rinnega il risultato, possiamo dire autore il solo Buñuel. E tra i due c'è differenza. Nel primo, «appassionato invito all'omicidio», la provocazione e la novità sono estreme, ma non senza il sospetto di autosoddisfarsi in se stesse. Nel secondo, a suo modo più lineare e «narrativo», esplode maggiormente la tendenza di Buñuel alla «constatazione» della realtà che a lui più interessa: quella dello scontro tra l'istinto e la realtà sociale con le sue norme e convenzioni. 
Se il surrealismo ha liberato le energie creative di Buñuel, gli ha insegnato come sprigionarle, tuttavia la loro canalizzazione è autonoma e decisamente influenzata dalla sua infanzia cattolica, dalla cultura spagnola di cui è erede. Sade, Freud e Marx - la forza del desiderio contro le convenzioni, i meccanismi provocati dalla frustrazione del desiderio, i meccanismi dell'oppressione sociale borghese - si coniugano in modo del tutto personale, non diventano né dogma né nuova convenzione. Ed è in definitiva Freud a contare di più, Sade a contare di meno. Per Buñuel il cinema «è lo strumento migliore per esprimere il mondo dei sogni, delle emozioni, dell'istinto. Il meccanismo creatore delle immagini cinematografiche è, a causa del suo funzionamento, quello che tra tutti i mezzi di espressione umana ricorda meglio il lavoro dello spirito durante il sonno; il film sembra un'imitazione volontaria del sogno, [...] sembra essere stato inventato per esprimere la vita del subcosciente, le cui radici penetrano così profondamente nella poesia... ».
Tra l'Age d'or e Los olvidados (I figli della violenza, 1950) c'è la guerra di Spagna, l'oscuro esilio americano e, alla fine della guerra, il passaggio in Messico, dove Buñuel può tornare alla regia sia pure con innocui film di genere. Ma dopo Los olvidados, spieiata e terribile descrizione del mondo del sottosviluppo e delle sue leggi interne, anche l'esercizio nel genere è fruttuoso, perché in esso Buñuel apprende a giocare da maestro nelle e sulle convinzioni narrative più viete, inoculandovi i suoi umori, la sua libertà. Non c'è film in cui non vi siano sequenze decisamente oniriche.
Formano in qualche modo una trilogia Nazarin (1957), Viridiana (1961) e Simon del desierto (Simone del deserto, 1965, incompiuto), tre «vite di santi mancati». La sconfitta del modello cristiano che, nel mondo contemporaneo, quando perseguito senza mediazioni, provoca guai e fallimento, è preludio per Nazarin a una diversa comprensione della carità tra umili, per Viridiana all'accettazione di modelli più vili (un rapporto a tre), e in Simone lo stilita, infine, al crollo dell'orgogliosa colonna della sua ascesi nella bolgia terrestre della newyorkese «carne radioattiva».
Con gli anni sessanta la fama di Buñuel diventa grandissima, ma la stima e il mito di cui viene circondata non ne appiattiscono certo il vigore e la carica di originalità e irriverenza. L'angelo sterminatore è del 1962, Bella di giorno del 1967.
Regista e artista dalla perfetta coerenza, sembrano quasi scomparse nelle sue ultime opere (Il fascino indiscreto della borghesia, 1972, Quell'oscuro oggetto del desiderio, 1977), i riferimenti a una possibilità dell'uomo di uscire dai suoi condizionamenti, di «superarsi». Ogni utopia è morta e al suo posto, di fronte all'orrore della storia, in storie vieppiù prive di tempo storico definito, resta una distaccata, più saggia che sapiente, morale. Pochi artisti del nostro secolo hanno, come lui, così mirabilmente e anticamente descritto le passioni umane e le loro miserie, l'impossibilità delle liberazioni individuali (e le mitizzazioni di queste), così come l'impossibilità di soluzione dei conflitti che oppongono la realizzazione individuale alla società, a qualsiasi società organizzata, di per sé costrittiva e oppressiva, così come l'inanità degli slanci migliori dell'individuo alla solidarietà e alla trasformazione.

I miei film preferiti:

- Nazarin (1957) *****
- Viridiana (1961) ****
- Bella di giorno (1967) ****

Nessun commento: