martedì 13 ottobre 2009

Le primarie, il Pd e l'antropologia di un paese.



Alle primarie del partito democratico, senza ombra di dubbio, voterò Francheschini.

Perché? Perché un cattolico ex-democristiano, allievo di Zaccagnini?

Perché in questi mesi si è mosso bene, anzi direi al meglio delle sue possibilità. Meglio di Veltroni, su cui pure si erano addensate vane speranze. E perché la sua proposta politica e culturale - sottolineo culturale - è radicalmente opposta rispetto a quella di Bersani. Più di quanto appaia a prima vista.

Analizziamo i due contendenti.
La fazione Bersani parte da alcuni presupposti scoraggianti e pessimisti: 1) nessun partito riformista, in Italia, raggiungerà mai la maggioranza senza alleanze. 2) Gli italiani sono capaci di barattare tanta libertà individuale e collettiva per un briciolo di benessere in più. 3) "Troppa" opposizione stanca e l'anti-berlusconismo rischia di diventare anti-italiano.
Questa visione porta a tre conseguenze: la ri-proposizione di un nuovo carrozzone multi-partitico che vada dai verdi/comunisti all'Udc; un approccio mediatico serioso e "tecnico", un nuovo "governo ombra", cioè, che rilasci unicamente grigi proclami sul Pil in calo e sulla disoccupazione; infine, una guerra spietata alla parte di opposizione che scende in piazza e si affida ai non "allineati".

Bersani è l'espressione di un apparato che non tramonta mai. La sinistra ex-Pci che non ha nessuna intenzione di governare a livello nazionale, arroccata nei privilegi e sulle poltrone che pure, piano piano, sta perdendo anche a livello locale. Questa cricca neo-democristiana propone l'eterno reiterarsi dell'uguale: l'arrogante candidatura di Rutelli a Roma poi massacrato da Alemanno, nonché la gestione clientelare e catastrofica dell'emergenza rifiuti in Campania, motivo principale del trionfo berlusconiano del 2008 (ma ancora qualcuno stenta a capirlo). Tanto per dire due tra i tanti motivi che dovrebbero spingere questa classe dirigente a farsi da parte, e per sempre.

Non a caso dietro Bersani c'è il mefistofelico D'Alema, straordinario affossatore di qualunque rinnovamento e di qualunque ipotesi di un Partito democratico liberale e moderno. L'ex premier è visto col fumo negli occhi da tantissimo elettorato e per questo ha spinto avanti il suo fantoccio, che ha una così scarsa comunicativa da apparire persino annoiato, insofferente, sbofonchiante nelle interviste in tv. Quello di D'Alema, prima ancora che di Bersani, è il Pd degli inciuci, del "Mediaset è una straordinaria risorsa per il Paese", del non possumus sul conflitto di interessi; il Pd che guarda con astio e sospetto al mondo di Travaglio e Santoro; il Pd che definisce Di Pietro "un plebeo" (Claudio Velardi) e Beppe Grillo "fascista". Il Pd di ex radicali convertitisi in integralisti; il Pd dei salotti romani e dei capetti ex-settantasettini che ora liquidano ogni fenomeno civile come effimero.
Nelle primarie dei circoli, non a caso Bersani ha stravinto a Napoli e in Campania, feudo di Bassolino, dove la stima per il governatore è ai minimi storici eppure - per ben noti imbrogli - le tessere sono di più che in tutto il Nord-Est contato insieme. (Incredibile.)
Dietro Bersani c'è il contentarsi e il tirare a campare, la gestione del potere particolare senza alcuna ambizione di trasformazione antropica del paese - neppure involontaria, ed è questa la vera differenza tra il Pd e Berlusconi.
Questa è un'opposizione arrendevole che calza a pennello con le aspirazioni autoritarie e illiberali di questo governo. Un opposizione che, evento importantissimo, finirà col rompere persino con Repubblica, ormai unico "organo" di reale antagonismo mediatico - non a caso isolato da tutti i giornali "terzisti" e dai giornalisti dalla schiena molle.

Al contrario, la fazione Franceschini parte dal presupposto che la litigiosità inevitabile dell'Ulivo è stata causa primaria dei guasti del centrosinistra e quindi del Paese; guarda al mondo di Di Pietro, Grillo, Santoro, Travaglio & company non come un nemico endemico, ma come una costola della sinistra che fa incetta di rabbia e rancore per la troppa arrendevolezza dell'opposizione. Del resto, l'unica alternativa a Berlusconi non è più la piazza no-global e iper-sindacalizzata (com'era negli anni 1999-2002) , spazzata via dall'inconsistenza dei suoi leader e dalla stessa asprezza dei tempi: c'è tutto un fermento politico e civile di studenti, professionisti, lavoratori, a Nord come al Sud che non accetta di spaccare vetrine e di gridare soltanto "fascisti!", eppure è stanca e stufa di un Pd così rinunciatario e salottiero. Del resto, è proprio chi spacca vetrine e grida soltanto "fascisti!", che quasi sempre se ne frega delle sorti di un Paese e si rinchiude, poi, nei salotti.
Franceschini ha fatto pochi e buoni gesti simbolici: ha mandato a quel paese Vespa quando gli chiedeva di partecipare ad una puntata "riparatoria" dopo le genuflessioni per Berlusconi; ha detto chiaro e tondo al congresso chi nella sinistra ha affossato il Pd; è andato, pur essendo anti-telegenico e poco prestante, fino a Pontida per piantare una bandiera tricolore. Sarà poco, sarà pure riduttivo a confronto delle aspirazioni anarcoidali di tanti gruppuscoli di "duri" e "puri". Ci sarà molto tempo, del resto, per capire che è cosa buona e giusta lavorare sull'antropologia del paese e adoperare il potere per cambiarla. Ma intanto, in questi ultimi dieci anni, cose così non si erano mai viste da parte di un leader del centrosinistra.

Se pure il 50% e oltre del paese restarà lobotomizzato dalle tv, convincendosi sempre di più che una democrazia liberale è barattabile con del (presunto) benessere, allora è ancor più vero che un'opposizione credibile, per capovolgere e smascherare questo pericoloso assioma, deve menare mazzate (simboliche) più forti e non più lievi.
Per questo il 25 ottobre voterò Franceschini alle primarie.

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