Una delle neo-brigatiste condannate per l'omicidio Biagi nel 2002 si è impiccata in carcere, a Roma. Ha tagliuzzato le sue lenzuola, e poi le ha annodate formando un cappio ben stretto. Inizialmente, al momento della condanna, Diana Blefari (questo il suo nome) si era mostrata sicura di sé, ricalcando l'atteggiamento già assunto da Nadia Desdemone Lioce, la mente della nuova organizzazione terroristica. Ben presto però le certezze si erano incrinate, lasciando spazio a un profondo stato di prostrazione psichica. Il giorno della condanna in primo grado fece a pezzi tutto quello che riuscì ad afferrare. Una scena violentissima, seguita da astenia, autoisolamento, rifiuto del cibo e dei liquidi. Poche ore prima del suicidio le era arrivata anche la conferma dell'ergastolo in Cassazione.
Sono sempre le più inquietanti le traiettorie biografiche che scelgono il radicalismo violento, l'estremismo, l'isolazionismo non in giovane età, ma con la maturità, a quaranta o cinquant'anni. I ragazzini che giocano a fare i terroristi si limitano a inneggiare alla violenza su qualche social forum, hanno dalla loro l'ignoranza e l'aggressività dell'ignoranza: è una scelta dopata dal sovraccarico ormonale. Al contrario, sono sempre stato affascinato dalla psicologia dei terroristi - o pseudo-tali - dai capelli bianchi: cosa leggono nell'attualità, cosa si propongono, a cosa aspirano? Il loro è puro esibizionismo, o tragica illusione che scade nel grottesco? Un vecchio patriarca afgano che arma se stesso e i propri nipoti contro gli americani ha, per lo meno e con tutto il dramma che ne consegue, l'eccitante prospettiva di vedere gli yankee ritirarsi da quel disgraziato paese entro i prossimi dieci anni: sa che potrà ancora vivere qualche anno di autarchia nei suoi feudi tribali e sotto l'egida dei capitribù locali. Ma i neobrigatisti italiani! Come hanno fatto a sopravvivere per trenta o quarant'anni di militanza in un mondo che sentivano, umanamente e culturalmente, così alieno da scegliersi come bersaglio anonimi funzionari ministeriali, giuslavoristi, sindacalisti, esperti di diritto del lavoro?
Sono sempre le più inquietanti le traiettorie biografiche che scelgono il radicalismo violento, l'estremismo, l'isolazionismo non in giovane età, ma con la maturità, a quaranta o cinquant'anni. I ragazzini che giocano a fare i terroristi si limitano a inneggiare alla violenza su qualche social forum, hanno dalla loro l'ignoranza e l'aggressività dell'ignoranza: è una scelta dopata dal sovraccarico ormonale. Al contrario, sono sempre stato affascinato dalla psicologia dei terroristi - o pseudo-tali - dai capelli bianchi: cosa leggono nell'attualità, cosa si propongono, a cosa aspirano? Il loro è puro esibizionismo, o tragica illusione che scade nel grottesco? Un vecchio patriarca afgano che arma se stesso e i propri nipoti contro gli americani ha, per lo meno e con tutto il dramma che ne consegue, l'eccitante prospettiva di vedere gli yankee ritirarsi da quel disgraziato paese entro i prossimi dieci anni: sa che potrà ancora vivere qualche anno di autarchia nei suoi feudi tribali e sotto l'egida dei capitribù locali. Ma i neobrigatisti italiani! Come hanno fatto a sopravvivere per trenta o quarant'anni di militanza in un mondo che sentivano, umanamente e culturalmente, così alieno da scegliersi come bersaglio anonimi funzionari ministeriali, giuslavoristi, sindacalisti, esperti di diritto del lavoro?
Diana Blefari, "compagna Maria" per i suoi colleghi, nel 2002 assisteva al secondo anno di governo Berlusconi. La destra sempre più forte. La sinistra divisa e annichilita. I conservatori e xenofobi in rimonta in tutta Europa. Proprio come adesso, sette anni dopo.
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