mercoledì 2 dicembre 2009

Rivolta.



“Un’esperienza nuova per il nostro tempo è entrata nel gioco politico: ci si è accorti che agire è divertente. Questa generazione ha scoperto quella che il diciottesimo secolo aveva chiamato la ‘felicità pubblica’, il che vuol dire che quando l’uomo partecipava alla vita pubblica apre a se stesso una dimensione di esperienza umana che altrimenti gli rimane preclusa, e che in qualche modo rappresenta parte di una felicità completa.”
- Hannah Arendt, 1963.

Negli anni Sessanta Camus ha elaborato una grande formula: «mi rivolto, dunque siamo». La mia ribellione la vivo come qualcosa che riguarda subito me, la mia individualità, ma poi nella rivolta ritrovo gli altri, la comunità, la collettività, l’umanità.
Ora la formula è rovesciata. Nella comunità, nella collettività, nell’humanitas ci si immerge soltanto per ritrovare se stessi, il proprio temperamento e la soddisfazione dei propri bisogni: adducendo come motivo il fallimento delle ideologie, l’odio profondo per ogni forma di potere, l’ignoranza delle masse.
L’azione pubblica così come l’abbiamo idealizzata per quarant’anni è evidentemente giunta su un binario morto. Non a caso sorgono nuove e variopinte forme di radicalismo che prescindono dalla presenza fisica dei partecipanti. Non a caso c’è una fuga generalizzata verso un idealizzato stato naturale, di micro-comunitas, dove la felicità potrebbe essere a portata di mano nella semplice della vitalità dei sensi, nel godimento dei propri affetti.
Non a caso ci sono Facebook, Indymedia e i forum virtuali per sfogare la violenza.
L’urgenza e la disperazione sono scomparsi, nessuno sente piu’ necessario sorreggere il fardello di una qualche coerenza collettiva. Eppure, non si può dire che agire sia divertente come quando c’erano l’urgenza e la disperazione.

Cosa resta? Resta, forse, quello che teorizzava Camus, quattro decenni fa: la distinzione - necessaria - tra rivoluzione e rivolta. La prima è un fuoco di paglia; finito il falò, tutto riprende da capo, magari in peggio. La rivolta, è un’altra cosa: è azione permanente.
«Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice sì, fin dal suo primo muoversi». Quelle due parole, non accetto, valgono anche nel corso della rivolta, dopo la rivolta, sempre.

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