domenica 6 gennaio 2008

Un giorno nella terra dei fuochi

Martin Zoeller è un giornalista tedesco inviato in Campania dal Die Welt di Berlino. Della crisi dei rifiuti non sa nulla, il suo direttore gli ha solo detto: "Da quelle parti si vedono scene da guerriglia, gente che si fa manganellare tra montagne di spazzatura alte quasi dieci metri. Vedi di fare qualche foto carina, qualche intervista e cerca di non farti ammazzare." Martin mi è venuto a prendere davanti la stazione di Piazza Garibaldi, aveva affittato una Ford Fiesta e guidava con il cappuccio del giubbino verde tirato su. Mentre ci avvicinavamo a Pianura era mio il compito di avvistare in tempo i grossi oggetti abbandonati lungo la strada: cassonetti rovesciati, pezzi di porfido, parafanghi, transenne. Ogni tanto mi giravo a fissarlo, e non capivo il senso di quel cappuccio, visto che non faceva neppure tanto freddo. Il nostro percorso era una gimkana tra i rifiuti, e in un momento di distrazione per poco non beccavamo in pieno il panettone di cemento che, divelto, era spuntato dietro la curva, e quasi ci stava per sfondare la macchina. Martin ha imprecato nella sua lingua, il cappuccio è venuto giù: aveva capelli biondissimi e ricci, quasi bianchi come la sua pelle. Martin aveva paura di essere riconosciuto come "straniero" e pestato, insultato, probabilmente mangiato dai nativi.

Quando ci siamo avvicinati ad una rotonda presidiata da un mezzo migliaio di persone, grottescamente chiamata "l'étoile", abbiamo posteggiato la macchina e iniziato a fare qualche intervista. Erano quasi tutte donne, vecchi e bambini. Gli unici ragazzi tra i quindici e i trent'anni erano quelli che scorazzavano con facce torve sui motorini, o che si erano appollaiati su un lato della strada, vestiti di nero e con la visiera del cappellino calata sugli occhi, come avvoltoi che scrutano la massa di carogne. Come sono passate due camionette della polizia, all'unisono quei ragazzi hanno iniziato a scagliare sassi, inveire con frasi irriferibili, insulti tremendi. Per qualche attimo ho temuto che dalla gragnuola di pietrie potesse scoppiare, subito, la nuova carica delle forze dell'ordine. Invece tutto si è calmato con lo scomparire dei veicoli. La fidanzate si sono complimentate con i loro ragazzi, poi, caracollando sui tacchi tra copertoni squarciati e capitoni spappolati (sì, c'erano anche quelli) sono andate a casa.

Una signora ha iniziato a imprecare contro le cariche della polizia, contro il manganello facile: "Qua l'unica soluzione è mandare a casa gli uomini. Gli uomini non servono a niente! Le donne ci vogliono, donne con in braccio i propri bambini. Voglio vedere se ci colpirebbero lo stesso!". Una mamma ha esibito la sua bambina, che teneva in mano un cartello con su scritto: "Avete tolto il sorriso ai napoletani". Gente infreddolita più che inferocita, sorrideva allo spuntare della macchina fotografica, si faceva ritrarre con sciarpe e berretti di lana. Pugni in tasca per il gelo e non per la rabbia.


Un corteo è partito dall'étoile guidato da un gruppo di sessantenni dalla barba e i capelli lunghi, che scandivano slogan ritmati contro i governi e gli inceneritori. A seguire, donne anziane avvolte nello scialle, i colpi di tosse, i bimbi sulle spalle dei papà. I motorini continuavano a sfrecciare avanti e indietro ai lati del corteo, come i cani-pastore che controllano le pecore. Dovunque passasse la marcia c'erano serrande che si abbassavano, porte che si chiudevano, saracinesche a metà altezza, bastardini insozzati che abbaiavano isterici. Probabilmente, gongolanti in qualche anfratto, ci osservavano anche zoccole grandi come felini, dai quali gli abitanti ormai possono difendersi solo legando più stretti i sacchi di immondizia e rinforzando le finestre al primo piano. "Scendete! Scendete in strada! L'aria è di tutti, non abbiate paura!" Pateticamente dai megafoni partivano queste invocazioni. Siamo arrivati poi in una strada dove ancora fumavano cumuli d'immondizia bruciata. Martin mi faceva notare che in questa strada sembrava esserci un coprifuoco. "Proprio così: ieri notte qui sembrava Beirut -ha detto un residente- quei motorini che adesso vedi sfilarci intorno, andavano ad appiccare fuoco ai cassonetti, spaccavano i vetri dei negozi che si rifiutavano di chiudere, minacciavano le persone che uscivano di casa". Ma perchè tutto questo? "Anche questa protesta è l'occasione per far capire chi comanda. Alla camorra non interessa se la discarica venga aperta oppure no: i suoi affari li fa comunque; ma con i suoi metodi militarizzati, le molotov, gli assalti ai negozi, vuole ha mentre i gruppi ultrà hanno approfittato della protesta per regolare alcuni vecchi conti in sospeso con la polizia." Una donna sui quarant'anni, sfatta ed in lacrime, si è affacciata alla finestra, col trucco disfatto e il volto rigato di lacrime, iniziando a imprecare contro la sfilata di suoi concittadini: "Bravi, bravi! Continuate così, che intanto quelli che prendono le botte siamo sempre noi, quelli che rimangono prediare la discarica giorno e notte! Bello sforzo che fate! Mio figlio aveva una gamba rotta e per salvarlo dalle cariche lo hanno buttato in una scarpata."


Sembrava davvero Beirut. La marcia è proseguita tra le macerie di una città fantasma, mentre il soffio del vento e la pioggia frustavano queste persone, già provate dai malanni e dall'affaticamento. Un silenzio inquietante faceva da eco alle grida scandite dalla folla, che si perdevano così nel vuoto della notte, tra gli squallidissimi casermoni del circondario. Una folla vecchia e malata sul nascere, se è vero che Pianura era chiamato già negli anni Ottanta "il quartiere dell'asma" e la possibilità di morire per tumore, qui, è più alta dell'80% della media nazionale.


Martin e la sua amica fotografa Irene, di origine spagnola, saltavano dalla testa alla coda del corteo, e viceversa, come zanzare impazzite, a intervistare il leader politico, il prete, la donna con figli, quello che ha avuto almeno quattro morti in famiglia per le esalazioni tossiche. Io mi preoccupavo di tradurre, di spiegare, di fare da intermediario tra la "voce del popolo", come la chiamava una spudorata consigliera comunale di Rifondazione, e gli stupefatti reporter stranieri; ma già dopo qualche ora non ce n'era più bisogno: Martin non indossava più il suo copricapo, non nascondeva più i suoi riccioli biondi. Come lo vedevano, macchia color avorio in un fiume di volti lividi e incupiti, lo chiamavano, lo tiravano per un braccio che quasi temevo per la sua incolumità, ma poi gli gridavano soltanto: "Tu questo lo devi raccontare. Devi raccontare che qui non siamo animali. Che qui la gente non passa il tempo ad incendiare monnezza, che non ci siamo rassegnati a vivere nei nostri escrementi. Lo devi raccontare, altrimenti..."

La folla è finalmente giunta di fronte al presidio, nei pressi della discarica. Il vicario del quartiere, Don Claudio, si è fatto largo tra la folla con un paio di chierichetti che portavano il suo abito talare e un calice di ostie. Lentamente, con una flemma ossequiosa Don Claudio si è vestito, mentre altri signori in tuta e giubbino di pelle allestivano un altare improvvisato. Eravamo tutti in silenzio. Quando una mano si è alzata nel cielo e ha disegnato nel cielo una croce, la folla si è inginocchiata all'unisono e si è segnata, compostamente, davanti alla voragine pronta ad essere colmata. Le pallide luci dei lampioni evocavano fumi nauseabondi e sciami di insetti voraci. Erano le sette di sera dell'Epifania, anno duemilaeotto a Napoli, Italia.


Nota: mi rendo conto che questi post sono senza dubbio più angoscianti del tono medio scanzonato di queste pagine, e mi dispiace; ma ho cercato, nei limiti del possibile, di rispettare alla lettera le indicazioni di Fede ed Ema, che mi parlavano di "sito di racconti e pensieri". Questi, per quanto possano sembrare rimaneggiati e romanzati, come mi è stato detto da qualcuno, sono pur sempre racconti e pensieri. Mi piacerebbe che tornassimo a confrontarci con la realtà, come facevamo nelle settimane prima dell'affoffata natalizia (allora si parlava di migrazioni, e involontariamente è anche il leit-motiv de Il Fine ultimo, se qualcuno se ne fosse accorto). Confrontarsi con la realtà, dunque, per quanto possa apparire atroce o insopportabile. Senza negarne l'esistenza, come diceva la Arendt. Continuiamo a discutere.

4 commenti:

Federico ha detto...

ciao pablito,
sono appena tornato sul blog e ho letto gli ultimi post che hai messo su napoli.
Ottimi.
Io, che tutte le notizie sull'Italia che leggo le leggo online, li ho trovati molto piu' pieni e interessanti della cronaca un po' sciatta di repubblica.it
A volte cmq mi lascia un po' perplesso lo stile fin troppo enfatico di alcuni brani..tu che ne pensi? non credi che sarebbe interessante tenere tuto il pezzo in "equilibrio" senza farlo mai sforare emotivamente?
A parte questo, complimenti per quela che forse e' la tua prima, vera azione da reporter "serio" (per ema:a proposito,perche' non fai un salto da quelle parti a cercare delle foto??).
E poi..mi spieghi che ci facevi con quei due giornalisti? cosa c'e' tra te e la bionda Alemania?

Per quanto riguarda l'angoscia procurata da questi post...ben venga! Del resto, come ddice Celentano (altro che la Arendt!) "la situaizone non e' buona"..

A presto caro Oriano Fallace
un abbraccio

Federico

Anonimo ha detto...

Ehilà Paul!! bel post, interessantissimo anche perchè in questi giorni che sono stato a Londra mi sono perso un po' il casino che stava succedendo dalle tue parti.
Proprio ieri sera guardando il telegiornale mi era venuto in mente di andare a fare qualche foto...più in generale mi piacerebbe sperimenare un po' il reportage fotografico. Magari alla prossima occasione ci avventuriamo insieme.
A presto

paulmoss ha detto...

I giornalisti di cui sopra mi hanno contattato credendo di incontrare "una persona informata sui fatti", e invece si sono ritrovati con un traghettatore di reporter ancora più scioccato di loro.

Detto questo, riguardo l'enfasi senza dubbio contestabile ti rispondo così, che forse è proprio l'enfasi a traghettare i concetti: come quei globuli rossi a forma di puff, che nei cartoon sul corpo umano traghettavano le bolle d'ossigeno (ricordi??).
Purtroppo trovare sempre l'equilibrio non è facile, sono d'accordo. Ma ho cercato di dire quello che provavo in quel momento, più da narratore che da "reporter" (com'è..enfatica questa parola!).

paulmoss ha detto...

x Ema: sei l'ema che conosco io, vero?? madini giusto?
no perche' di appassionati fotografi tra noi ce ne sono fin troppi!

Guarda spero che per la prossima che potrò scendere di nuovo a Napoli, cioè a inizio Febbraio, la situazione sia migliore di oggi...altrimenti vorrà dire che ci troveremo in una vera e propria guerra civile!

E soprattutto, anche pensando al discorso di fede, stiamo attenti a distinguere reportage da semplice estetizzazione dello schifo: altrimenti si arriverà a far foto "enfatiche" solo per il gusto di farle, senza capire o partecipare alla realtà che si ritrae..
(come i fotografi di "indios" che scorazzavano tra gli zapatisti, nel disgraziatissimo Chiapas).

Quando racconto certi fatti, io stesso non vorrei cadere nella contemplazione delle lettere sullo schermo, distogliendo l'attenzione dai fatti stessi..E' un rischio di cui dobbiamo tener conto..

augh!