Per caso ho ritrovato un testo scritto quando avevo quattordici anni, sepolto nel mio pc. In genere fa ridere rileggere le cose che si scrivevano da adolescenti, ma nel mio caso erano tutte cose piuttosto cupe, angoscianti. Oppure tremendamente ironiche - non c'erano vie di mezzo. In particolare ci fu un periodo in cui m'ero fissato con il Medioevo e l'Anno Mille:
Era la quinta giornata di ottobre e faceva un gran freddo, come al solito. Tra la neve che cadeva senza sosta sulla sua testa, Goffredo vide una sagoma nera. Questa gli si avvicinò, gli porse una ciotola e un pezzo di pane.
“Fai presto a mangiare, altrimenti il freddo fa indurire il pane.” Gli disse la sagoma.
Goffredo cercò di alzarsi per mettersi in posizione seduta, ma a stento riuscì a muoversi, tanto che era congelato. La sagoma se ne andò.
Ritornò quell’odioso fischiare del vento, che spingeva la neve più forte. Come delle saette di dolore gli salirono dalle giunture. Rimase fermo a guardare impotente quegli avanzi di cibo.
Davanti a lui c’era una tenda. Riusciva a vedere una luce proveniente dall’interno. Probabilmente si stava cuocendo qualcosa: un brandello di carne, un uccello cacciato durante il giorno o qualche altro tipo di selvaggina.
Dalla tenda uscì un uomo, alto, questa volta ben riconoscibile. Dalla lunga e folta barba Goffredo riconobbe subito Goerte. Ma la sua testa era così intorpidita che non riuscì a fissarlo per più di qualche secondo. Goerte si arrestò davanti alla ciotola di Goffredo.
“Non ce la fai a mangiare questa brodaglia?”
“E come potrei, se è più ghiacciata di me?” sussurrò il ragazzo.
“Vuoi che ti imbocchi come un bambino?”
“Preferisco morire qui subito.”
Goerte si grattò rumorosamente i capelli dal nevischio. Poi disse, meno sarcasticamente: “Senti, qui fa un freddo che si muore assiderati. Se muori ora non mi sarai utile dopo. Sennò che ti ho preso a fare? Facciamo una cosa: adesso ti libero e tu entri con noi nella tenda.” Ma Goffredo non rispose.
“Sì, sì, è meglio che entri, se no fai davvero una brutta fine.” E Goffredo mosse prima un ginocchio, poi un braccio, ma ricadde di nuovo su quel mucchietto di legna. (...)
(c) Paul Moss - 12 aprile 1998
Era la quinta giornata di ottobre e faceva un gran freddo, come al solito. Tra la neve che cadeva senza sosta sulla sua testa, Goffredo vide una sagoma nera. Questa gli si avvicinò, gli porse una ciotola e un pezzo di pane.
“Fai presto a mangiare, altrimenti il freddo fa indurire il pane.” Gli disse la sagoma.
Goffredo cercò di alzarsi per mettersi in posizione seduta, ma a stento riuscì a muoversi, tanto che era congelato. La sagoma se ne andò.
Ritornò quell’odioso fischiare del vento, che spingeva la neve più forte. Come delle saette di dolore gli salirono dalle giunture. Rimase fermo a guardare impotente quegli avanzi di cibo.
Davanti a lui c’era una tenda. Riusciva a vedere una luce proveniente dall’interno. Probabilmente si stava cuocendo qualcosa: un brandello di carne, un uccello cacciato durante il giorno o qualche altro tipo di selvaggina.
Dalla tenda uscì un uomo, alto, questa volta ben riconoscibile. Dalla lunga e folta barba Goffredo riconobbe subito Goerte. Ma la sua testa era così intorpidita che non riuscì a fissarlo per più di qualche secondo. Goerte si arrestò davanti alla ciotola di Goffredo.
“Non ce la fai a mangiare questa brodaglia?”
“E come potrei, se è più ghiacciata di me?” sussurrò il ragazzo.
“Vuoi che ti imbocchi come un bambino?”
“Preferisco morire qui subito.”
Goerte si grattò rumorosamente i capelli dal nevischio. Poi disse, meno sarcasticamente: “Senti, qui fa un freddo che si muore assiderati. Se muori ora non mi sarai utile dopo. Sennò che ti ho preso a fare? Facciamo una cosa: adesso ti libero e tu entri con noi nella tenda.” Ma Goffredo non rispose.
“Sì, sì, è meglio che entri, se no fai davvero una brutta fine.” E Goffredo mosse prima un ginocchio, poi un braccio, ma ricadde di nuovo su quel mucchietto di legna. (...)
(c) Paul Moss - 12 aprile 1998
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