Trentotto gradi. Tanti se ne trovano a Tapachula, Chiapas, in una giornata di fine novembre. Quando si arriva in autobus, dopo ore e ore di viaggio notturno attraverso i monti della Sierra Madre, l’impatto con il clima è devastante: ogni movimento si trasforma in sudore, spossatezza. E in quell’alba fiacca e umidiccia la città si era svelata in tutto il suo squallore: la strade sudice e malconce, le case spoglie, la flora spontanea che lambiva i palazzi, spaccava l’asfalto. Eppure bastava un secondo sguardo per notare ciò che Tapachula realmente era: ovunque s’incontravano cabine telefoniche da cui era possibile “chiamare gli Stati Uniti gratuitamente” – in realtà, a carico del destinatario; alberghi dove non chiedevano mai la carta d’identità, ma ti proponevano, tramite misteriose agenzie di viaggi, itinerari verso Tijuana o Nuevo Laredo, a tremila chilometri da qui. E poi auto Mercedes, nuove fiammanti, sfrecciare a due passi dai risciò che si trascinavano affaticati. Sotto lo squallore c’era dunque un’economia, una prosperità dovuta alla posizione geografica. Alla frontiera. Il nome stesso della città è rivelatore: deriva da Tapacholatl, che in lingua nahuatl significa “terra sommersa”. L’ambasciatore italiano, dalla capitale, mi aveva messo in guardia: «Non esiste luogo peggior per entrare in questo Paese». Ma io ero lì, in Messico, per vedere e capire in che modo un individuo affronta una fuga nelle peggiori avversità, si trasforma e rinasce, oppure decade per sempre. Il Messico, ovviamente, non era scelto a caso, ma rappresentava il simbolo di tutte le fughe, il crocevia dei miraggi presi d’assalto. La prima pista che avevo battuto s’era spalancata su uno scenario desertico, fatto di sabbia, cactus e sterpaglie soffiate dal vento, quello che lambiva da un lato e dall’altro la più profonda delle ferite: il confine con gli USA. Ma c’è un’altra frontiera, quella tra Messico e Guatemala, che nel silenzio della foresta immerge i destini degli uomini, li segna come i corsi tortuosi dei fiumi, divide una realtà geografica e umana analoga, ma forse ancor più disperata. Ero lì, su quella nuova pista, per trattenere negli occhi una storia dimenticata: la storia degli uomini che vengono inghiottiti dal quel cimitero senza croci che è il Chiapas...
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