sabato 7 febbraio 2009

Cartografie (o 'del leggere e scrivere')

Il problema era nato come gli incubi e i risvegli, tra le pareti della mia camera.

Per l’esattezza, su una parete della mia camera. La parete contro cui la mia libreria trabocca di libri, pamphlet, grossi tomi, copertine colorate, fogli sparsi.
Per un ateo quale io sono, quel lato della stanza ha spesso svolto il ruolo confortante delle piccole immagini della Madonna poste sopra i letti dei credenti. A dispetto del grigiume e dello sconforto delle mie giornate, l’altare traboccante della mia libreria non ha mai mancato di ricordarmi quanto sapienza, quanto valore riflesso illuminasse il mio tiepido cammino. Tanti libri, come le scaglie di un’armatura. Frasi imparate a memoria, che si ergevano al mio fianco, come gli sgherri di un uomo con la coscienza sporca.

Li avevo letti tutti, e me ne facevo un vanto. Di molti conoscevo a menadito perfino le note biografiche dell’autore, aneddoti inclusi. Ero, nel mio villaggio, un piccolo intellettuale; lo stregone con la grossa maschera di legno.

E poi, un giorno di siccità, mentre eseguivo la mia ennesima danza della pioggia, la mia maschera si è rotta.

Tanti libri. Li avevo mai davvero letti?
Ne conoscevo le parole a memoria. Le avevo mai davvero comprese?
Possedevo tonnellate di carta inchiostrata. L’avevo mai voluta usare?

In un risveglio sgradevole, in cui da un sogno si passa alla stanza gelata, mi accorsi che il mio altare non profumava più di incensi, ma gridava vergogna.
Niente, non avevo mai letto niente.
Avevo passato gli occhi lungo le righe, aperto il mio magazzino alle loro ricchezze. Avevo messo tutto in un caveau, da mostrare ai collezionisti e ai curiosi nelle notti di sigarette e vino rosso.
Ma nulla era mai passato attraverso la mia carne.

La mia carne era analfabeta, pigra, digiuna.
Avevo letto Zarathustra, ma ero mai salito su un monte e ridisceso nella città chiamata Vacca Pezzata?
Avevo mai navigato nel cuore della tenebra?
Avevo mai distrutto il panottico, evaso la caverna, aperto la Fortezza Bastiani, guardato l’infinito dal mio quarto piano, trasformato la mia carne nell’alchimia di Zolfo e Mercurio?

Chiusi la porta alle mie spalle e mi vergognai della mia foglia di fico. Aprii i cassetti della biancheria e con panico nascosi tutti i miei libri, i miei fallimenti sghignazzanti.
Da quanto tempo tutto questo era stato in mostra?

Nelle notti di sigarette e vino mi passò la voglia di parlare. Fumai di più e vomitai il vino, ballai fino all’alba e scelsi le parole a caso. E al grigio si sommò il grigio, senza nemmeno uno specchio distorto in cui poter dormire.

E poi, un giorno di primavera, quando il mare diventa invitante, camminando per un mercatino di rottami trovai un vecchi libro in vendita. Un trattato di ingegneria nautica. Un manuale di pratica navale. Una cartografia di rotte transoceaniche.
Un libro senza allucinazioni, senza commiserazioni, senza intrattenimento e scaglie di armatura. Un libro inutile sulle mensole. Uno strumento.

Quella sera di primavera tornai a casa con gli occhi attenti e le vene vibranti.

Dov’era stata, fino ad allora, la mia zattera?
Quali terre avevo esplorato?
Quali migliorie allo scafo?
Quali manovre mi avevano teso i muscoli?
Quali corde mi avevano bruciato la pelle?

Quella notte di primavera la luna era soltanto un orpello.
Le mie parole divennero punte di compasso, lame di accetta.
Le mie dita scorsero veloci sulla carta e tracciarono nuove rotte, cartografie esatte delle mie direzioni. Scrissi col bianco della mia scia.

Capii che cosa scrivere, capii che cosa leggere. Come leggere.
Con lo sguardo attento del capitano, lo spirito astuto del fuggiasco, le scarpe del viandante.
Non volevo più libri, volevo suole.

E Dio benedica i calzolai e i cartografi, e ci trasformi in nomadi sulle vie dei canti.
Perché i nostri canti costruiscano le strade, e i nostri piedi seguano le note.
Fino a che lo spettacolo non decida di finire, il sipario marcisca e tutti gli spettatori crollino dalle loro poltrone. Fino a che i viandanti diventino una folla e non si chiamino più gente. Fino al giorno in cui ci si ritrovi attorno al fuoco, a raccontare le nostre imprese e insegnare come ripeterle.

Fino al mattino d’estate, in cui si ricomincerà a insegnare ed imparare.
E si deciderà, ancora una volta, di fare la Storia.




Federico

7 commenti:

paulmoss ha detto...

molto molto bello Fede. Uno dei pezzi migliori che ho letto. E lo sai che non elargisco complimenti a caso..:)
Mi sono permesso di proporlo alla redazione di NI e di pubblicarlo anche sul sonnacchioso Richiamo...
un abbraccio

Lafranzine ha detto...

Wow! Ora ho capito cosa intandevi dicendomi di disfarmi dai miei libri. Hai ragione sono tanti santuari anche per me. Però sai fede, io molti li ho resi reali e continuo a farlo anche se spesso li uso come scudo più che come foglua di fico. Sono amici con cui condivido esperienze e a cui chiedo consiglio, del resto loro lo hanno vissuto prima di me. Sono compagni di viaggio, del nostro... Il che non significa che noi dobbiamo compiere i loro stessi percorsi, ma usarli come una lente d'ingrandimento della nostra sensibilita' per i nostri percorsi.

Federico ha detto...

1
ciao fablo!
wow, sono molto lusingato.. conosco il ritmo dei tuoi complimenti :) Grazie mille per averlo messo sul richiamo e averlo mandato a NI!
Tu come stai? Che fai? e dove lo fai? Quando passi da queste parti? Se fai in fretta, facciamo ancora in tempo a giocare a palle di neve!

2
ziska!
sì, i libri sono utili, altrochè. soltanto che io avevo perso un po' la misura..e li avevo fatti diventare qualcosa di abbastanza inutile. E comunque, dopo aver scritto questo, ho tirato i libri fuori dai cassetti e li ho messi su una nuova piccola libreria che ho costruito con delle travi e mattoni. molto rustica :)
ti rispondo presto alla mail..
e tu mi mandi il pezzo che hai scritto?

3
fab & zisk!
dunque..
a) vi aspetto
b) questo pezzo fa parte di quelli che sto scriendo per la mostra che sto organizzando con joe. Se vi va vi mando anche i prossimi..
Grazie mille dei commenti

abbracci

F-ederazione
C-omunisti
C-otonati

paulmoss ha detto...

manda, manda pure..!
via mail magari.
e parlami della tua mostra!

sai che se la organizzate bene poi qui ho trovato chi potrebbe finanziarci sul serio? E' solo il tempo che manca, ma adesso i contatti ce li abbiamo.

non so quando potrò passare, ma credo a Marzo!Prima ho da sbrigare un po' di cose, e poi qui regna la confusione più totale..ti racconterò meglio a voce.
un saluto a tutti

p.s. franzine anche io voglio leggere i tuoi racconti!ciao

gaia ha detto...

questo è diverso dagli altri tuoi scritti che ho letto. questo ha un odore nuovo. e mille volte potrei rileggere alcune frasi. anzi lo faccio.
a te, buon viaggio

paulmoss ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
paulmoss ha detto...

Mmm...
..il pezzo che hai scritto ricalca in maniera impressionante la scena-tesi centrale di un film di Olmi, "Centochiodi".
L'hai visto per caso? In Italia se n'è parlato molto.
Il protagonista, Raz Degan, è un professore che ad un certo punto decide di disfarsi della sua biblioteca, inchiodando appunto tutti i tomi in essa contenuti, e darsi con "spirito astuto del fuggiasco" alla "via dei canti"..
Dacci un'occhiata.