lunedì 9 febbraio 2009

Soggetto del nostro tempo.

"Sono una matricola di Medicina. Ora che i primi esami incombono, a casa trovo molto su cui riflettere e ho stranamente il tempo per farlo. Ci sono così tante cose nel nostro mondo che ci spingono verso il dubbio, verso l'incertezza, verso la riflessione. Sarebbe una cosa magnifica, se solo riuscissimo a incanalare tutto questo “pensare” verso un'azione effettivamente costruttiva nei confronti del mondo.
E invece c'è qualcosa che ce lo impedisce, una sorta di meccanismo d'inerzia che intorpidisce la nostra capacità di critica e soprattutto di azione. La prima cosa a cui penso in questi casi è il Tempo o meglio, la mancanza di Tempo di cui ci lamentiamo spesso.
Perciò mi chiedo: c'è ancora spazio nel Tempo delle nostre esistenze per riflettere sul mondo, per fermarci a osservare la realtà? C'è ancora spazio per sognare di cambiare davvero il mondo?
Ho come l'impressione di vivere in una comoda e narcotica poltroni di impegni che azzera o forse nasconde alla mia mente i contrasti che vivo. Scorgo il marcio e l'ingiusto di questo mondo, ma mi perdo nel tentativo di inserire questi impellenti bisogni etici, per così dire, nell'agenda del mio futuro.
E, pur cosciente di questo, non faccio nulla, rimango inerte a guardare la storia svolgersi e la prospettiva del mio futuro farsi pian piano soffocante. Come se il Tempo e la mia vita stessero andando avanti senza di me.
Provo una sensazione strana, di contrasto tra il pragmatico e il sognatore che abitano ognuno di noi, ma come tutte le lotte titaniche sembra rimanere senza un vero epilogo, e sembra, ancora una volta, che la tua vita, che è solo un breve frammento del Tempo assoluto, non sia sufficiente per vedere quale dei due aspetti dell'uomo trionferà...
Tutto, attorno, risulta frustrante e la solitudine della propria poltrona annoia terribilmente. Ci si trova ad aspettare un Godot che non arriva mai e ti chiedi: è davvero tardi per svegliarci da questo comodo torpore e riprendere in mano la responsabilità sociale che spetta a ogni cittadino del mondo? E soprattutto, c'è ancora nella nostra società quella “stella danzante” che aveva scorto Nietzsche? Insomma, siamo ancora capaci di creare un movimento sociale che abbia un peso e che faccia sentire la voce critica che grida dentro ognuno di noi? Possibile che l'inquietante nichilismo del nostro tempo abbia preso il sopravvento? O c'è una speranza? Cosa deve accadere perché il sonno finisca? Quale molla deve scattare?"

- da una lettera pubblicata su D di Repubblica.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

la risposta è facile: fai degli impellenti problemi etici il tuo futuro. Io personalmente sono stufa di leggere ed ascoltare giovani (e neanche più tali perchè a 20 anni sei adulto) che si lamentano. Come se gli impegni del loro futuro gli cadano dal cielo e non dipendessero dalla loro volontà e dalle loro scelte.

Anonimo ha detto...

cazzo
ho sbagliato la consecutio temporum... ma vabbè. Ho appena saputo che una brasiliana viene a stare da me due settimane e non la sopporto. Aiuto

paulmoss ha detto...

lascia stare la consecutio temporum.
io la trovo una lettera illuminante proprio perché, credo, condivisa da moltissime persone che conosco.
Può sembrare banale, un "giovane che si lamenta", ma credo in questo caso abbia espresso un pensiero assolutamente valido e persino poetico...una matassa, assolutamente non facile da districare.

Lafranzine ha detto...

E' poetica, va bene. Condivisa, ok. Ma facciamo una domanda diversa: giustificabile? Modificabile?
A me sa di resa incondizionata ancora prima di combattere. La costruzione del futuro e' il modello di controllo sociale tipico di un sistema chiuso. Come dice Bauman, nel mondo capitalista, e aggiungerei iper, fermarsi implica uns esclusione permanente dal sistema concettuale e sociale. La mia domanda e' stata tanto tempo fa: "mi interessa essere considerata parte di un sistema che mi fa schifo?"
La risposta e' stata no. Ancora adesso ne pago le conseguenze, ma almeno faccio quello che voglio e che mi piace. Non ho uno stipendio, non ho un ragazzo e non ho una taglia 38. Ma chissene frega, utilizzo i soldi di una multinazionale per parlare di cultura e sono sottopagata per sponsorizzare progetti culturali che stimo. Ogni tanto mi tappo il naso e assecondo cose che disprezzo, ma lo scelgo.
Non compianto, compatisco, capisco, giustifico chi si fa trascinare dagli eventi e dagli impegni e anzicche' fare qualcosa scrive alla repubblica del malessere generazionale.
Invece che aiutare a reiterare un modello aberrante e aiutare gli altri a giustificarsi tramite l'immedesimazione, io avrei scritto parlando di una realtà come quella di cripta 747, da cui prendere esempio.
Non l'ho fatto, non l'ho scritta la lettera... Perché? Ah si ero in giro a cercare queste realtà e a capire come dal loro più visibilita'.
Mi dispiace ma non capisco chi veicola questi modelli al posto di altri per me più interessanti. La prox volta invece di parlare di un malessere dovuto alla ricerca spasmodica del successo sociale dedica lo stesso spazio al richiamo. E' piu' interessante.

Lafranzine ha detto...

Gli errori di battitura sono dovuti all'iphone:-)
Anche io sono umana e modaiola, del resto.

paulmoss ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
paulmoss ha detto...

mah..ripeto, secondo me sei fin troppo dura nel giudicare l'opinione di questa ragazza "un malessere dovuto alla ricerca spasmodica del successo sociale". Bum! Ma perché tanto sprezzo? Io non credo che lei cose stiano così. Credo che il suo malessere sia molto più umile e, se vogliamo, umano.
E poi, ma non voglio aprire una parentesi troppo ampia, credi davvero che per essere fuori dal sistema "che fa schifo" basti non avere uno stipendio, non avere un ragazzo, e non avere una taglia 38? lo so che hai usato delle metafore, ma sono convinto che se dovessi fornirmi molti altri esempi più "alti", non ne troveresti. perché non ce ne sono. Così come non basta non andare a votare, non leggere più quotidiani, non vedere più la tv.

Apprezzo il tuo attivismo, cosa che del resto già sai, e apprezzo pure le cose di cui ti occupi. Ma proprio per questo, il sistema dal quale pensi di esserti sganciata in realtà ti controlla attraverso mille altri fili più sottili: ne ho parlato anche con Fede, ci sono le tasse che paghi, i piccoli grandi compromessi che devi scegliere (il fatto stesso di dover dipendere da una multinazionale per non patire la fame), la necessità di emigrare per essere felici...anche la semplice dipendenza dal lavoro!
Come reagisci alla crisi se non trovi lavoro, se ti licenziano? Negandola, facendo finta che non ti riguardi, o dandoti da fare per ritrovare te stesso e la tua forma di felicità? Non credo che la ragazza della lettera si lasci trasportare dagli eventi, anzi..nè che parlarne significhi
"aiutare a reiterare un modello aberrante e aiutare gli altri a giustificarsi tramite l'immedesimazione" Ma qual è il modello aberrante? E cosa rende l'uomo un uomo e non un animale se non l'immedesimazione nel prossimo, oltre che in se stesso?

In realtà io, te, noi tutti non abbiamo realizzato finora nessuna "fuoriuscita" credibile da quel sistema - ammesso che valga davvero la pena farlo - che non sia una variante di un certo dandyismo, anarco-individualismo, strafottenza rassegnata: a quel sistema siamo legati come da un cordone ombelicale.

paulmoss ha detto...

Per correttezza (e curiosità) vi posto comunque anche la risposta di Umberto Galiberti, psicologo:

"Il tempo è quello della nostra vita che ci è stato consegnato tra la nascita e la morte. Ma proprio la consapevolezza di dover morire, che noi uomini abbiamo a differenza degli animali, ci induce a cercare incessantemente forme di distrazione da quel pensiero inaccettabile. La più efficace è senz'altro l'attività lavorativa, la più frenetica possibile, nel tentativo di seppellire l'angoscia che scaturisce da quella consapevolezza che fa la sua comparsa inquietante ogni volta che siamo inattivi e non più comodamente seduti su quella che lei chiama “la comoda e narcotica poltrona di impegni che azzera o forse nasconde alla mente i contrasti che si vivono”.
La sua giovane età ancora non le consente di percepire la morte, e perciò individua il contrasto tra il sogno di cambiare il mondo e le richieste impellenti della quotidianità che le chiedono di impegnarsi per la costruzione del suo futuro, senza lasciarle il tempo per pensare quali vie potrebbero essere percorse per realizzare quel sogno. Sulla comoda e narcotica poltrona di impegni lei teme di addormentarsi senza sogni. E questo la problematizza e non la fa sentire soggetto del suo tempo.
In realtà soggetti del nostro tempo non lo siamo mai, perché sia la costruzione del nostro futuro sia la tensione verso la realizzazione di un mondo migliore sono inganni per vivere e distrarci dal pensiero della morte. Come infatti ci ricordano gli antichi Greci, l'uomo per vivere ha bisogno di una costruzione di senso, in vista della morte che è l'implosione di ogni senso. Questa visione tragica del Greco, che non nutriva speranza ultraterrene, venne oltrepassata dal cristianesimo, che ha iscritto il tempo dell'uomo in un orizzonte di senso che ha il suo riferimento nell'immortalità dell'anima e quindi, come ci ricorda Paolo di Tarso, nella vittoria sulla morte.
Ma ora che le speranze ultraterrene si vanno affievolendo, dal momento che il mondo accade come se Dio non fosse, abbiamo un ancor più disperato bisogno di maschere, di illusioni, di vane speranze e di magnifici inganni per giustificare il tempo della nostra vita, iniziata a nostra insaputa e condotta tra quei mille impegni che ci siamo inventati per ingannare l'attesa di Godot, che già sappiamo non arriverà mai."

Lafranzine ha detto...

In godot la protagonista e' l'attesa, non l'arrivo. Quindi in realtà' una conclusione c'è e non e' solamente state fermi.
Emigrare in se' non e' un compromesso, prendere soldi da una multinazionale non e' un compromesso. E' la stessa storia di porre la domanda dov'e' la cultura pagata dalla provincia.
Per l'esattezza io sono stata molto attenta a nn usare la banalissima frase fuori dal sistema, che poi non significa nulla. Ho parlato di sistema sociale, intendendo meccanismi di inclusione esclusione dei simili, non di una sovrastruttura, ma di noi.
Usiamo i mezzi che abbiamo per dire quello che vogliamo, non e' esaltazIone di un caso particolare, ma una realtà consistente, per questo trovo aberrante che i giovani adulti vengano ripresi come degli incapaci e indecisi degni di muccino.

Paolo comunque nelle risposte attenzione sempre al fine confine tra attacco e polemica, tra velato insulto e paragoni metaforici. Il mio paragone era volutamente un paradosso per mostrare la normalita' di un altro atteggiamento. Non era la mia esaltazione. Anzi era per dire se persino una stronza come me.. Anche lei...

paulmoss ha detto...

...spero che non hai davvero ravvisato "velati insulti" o "attacchi"nella mia contro-risposta, fra!
anche perché non ce n'erano proprio, anzi tutt'altro..non "una stronza come te", ma una ragazza normalissima e vitale come te ha offerto un esempio di attivismo e di decisionismo degni di nota. ne ho preso atto e ti stimo senza ironia, ma questo già lo sai.
già sai bene, cioe', quanto stimi una fase simile piuttosto che al lesionismo autodistruttivo che a volte può coglierci e ci ha colto.

Però, proprio perché la sovrastruttura di cui parli (anche per colpa nostra) tende talvolta a farci sentire umanamente inutili e indecisi (sì, diciamo pure muccinianamente) è quantomeno auspicabile un po' di tolleranza per chi questi dubbi e questa debolezza li prova ancora, anziché rifiutarli prioristicamente come un brutto ricordo del passato.
O come retaggio di una parte impotente di noi.