lunedì 2 marzo 2009

Shawarma di agnelli

Gentile Direttore,

Le scrivo in riferimento alla richiesta di un mutuo per l’apertura di un negozio di kebab nel quartiere di East Dulwich, a Londra.

East Dulwich, come lei sa, è una splendida zona di villette e bistrot alla periferia sud della città, un’oasi di benessere a poche centinaia di metri dai quartieri di condomini dove spiaggiano gli immigrati di prima generazione.
Come può facilmente dedurre dal mio nome, anche io sono tra loro.
Anche solo questo basterebbe, mio caro Direttore, a convincerla dell’opportunità di accordarmi fiducia: proprio come loro, anche io ho la stessa grande aspirazione a muovermi qualche isolato più in la, oltre i marciapiedi fangosi di Rye Lane, nel sogno dorato di Dulwich. E, una volta messo piede in Dulwich, niente al mondo potrà più farmi tornare indietro.
Ma questo, forse, a lei non può bastare. Non mi illudo di poterle spiegare l’anima di un immigrato.

Allora, caro direttore, la invito a vedere con i suoi occhi quella fotografia delle mie ambizioni che lei, con la sua impeccabile professionalità, si ostina a voler chiamare ‘il progetto’. Mi segua dunque lungo il corso di Rye Lane, attraverso le bancarelle di frutta marcia degli Africani, oltre i parchi di siringhe che circondano Dulwhich, fin dentro le strade fiorite del quartiere, dove le giovani madri portano a spasso i loro neonati biondi.
Proprio lì, tra le boutique di vestiti per bambini e le profumerie ecologiste, può vedere il giallo e il verde dell’insegna luminosa del mio negozio di kebab.

Non si disturbi a farmi complimenti di maniera, mi sono già accorto del suo sguardo perplesso. Un negozio di kebab – si sta chiedendo – perché un negozio di kebab dovrebbe avere successo, a Dulwich?

Quale migliore risposta, mio caro direttore, che invitarla ad assaggiarne uno?
Mi segua dentro il negozio, e guardi pure le mie mani muoversi esperte tra le vaschette traboccanti di condimenti, il forno dove si scalda la pita e il girarrosto lucido di carne.
Soltanto pochi minuti e il kebab sarà pronto per lei, fumante e colorato, promessa di piacere mai mancata.
Senta il gusto soffice della carne sotto i denti, la crema che le si spande in bocca, la soddisfazione di sentirsi invaso dal sapore robusto del cibo. Niente sforzi, niente pensieri, nessun bisogno di illudersi o di porsi domande: questo è il momento del riposo.
Vedo già la sua risposta stendersi sugli angoli della sua bocca. Sì, mio caro direttore, è questa la più vera espressione della felicità.
Ed eccola qui, tutta per lei, disponibile per pochi spiccioli.

E adesso, mio caro direttore, che ha avuto il privilegio di assaporare quest’attimo di gioia reale, la invito a uscire di nuovo con me dal negozio e a guardarsi intorno. A guardarsi dentro.
Che cosa vede adesso, caro amico?
Come le sembrano, adesso, i sorrisi delle giovani madri e quelli dei loro mariti atletici? Non vede come splendono simili lo smalto delle loro unghie e le carrozzerie delle loro macchine? Per strada, nei convenevoli e nelle risate della gente, riesce a vedere qualcosa di altrettanto vero, di altrettanto gioioso del sapore morbido della carne di kebab? Le signore passeggiano, gli uomini portano borse ventiquattrore, ma lei saprebbe, adesso distinguere le persone dagli alberi, dai muretti a secco, dal paesaggio?

Non si preoccupi, direttore, ho già visto l’acqua nel suo sguardo, e le offro la mia spalla. Si appoggi su di me, e torni dentro al negozio.
Non le viene voglia di prendere un altro kebab, di dimenticare tutto e toccare di nuovo il cielo con la punta della lingua?
A volte, mio caro direttore, le domande più difficili possono essere risolte con le risposte più semplici.

E allora torniamo dentro, a sederci ai tavoli del mio negozio.
Come può vedere, i tavolini sono disposti in maniera molto attenta.
Non troppo distanti gli uni dagli altri, perché i miei clienti non siano abbandonati alla solitudine, ma nemmeno troppo vicini tra loro, perché nessuno si dimentichi quanto in realtà siano tutti soli. Gli schienali delle sedie poggiano tutti contro il muro, a fare da barricata contro ogni timore, mentre dall’angolo in alto della parete, un televisore sospeso al soffitto trasmette continuamente Al Jazeera.
E tutt’intorno, le foto della Mecca appese alle pareti, un ritratto di Khomeini, la musica pop marocchina, le facce da sicari algerini dei camerieri, i miei grossi baffi neri a manubrio… Il mio negozio è uno spettacolo, il caleidoscopio intero di quell’oriente spaventoso che la gente sogna nelle vasche da bagno. Nel mio negozio, c’è tutto il brivido esotico del terrorismo trasmesso in tv, la luce soffusa delle lampade in ferro battuto, l’odore penetrante delle spezie, i versetti del corano appesi dietro al bancone. Io vi sfamo e vi intrattengo, vi tengo fermi sulle sedie a sentirvi attraversati dalle emozioni, mentre i piatti carichi di odori si muovono tra i tavoli. Potete togliervi la giacca e sentire la paura, e poi riempirvi la bocca di calmante, di quell’unica verità che si può stringere tra i denti.

Si sieda anche lei, caro direttore, si tolga la giacca e assaggi un altro kebab, o magari un piatto di felafel croccanti.
Come? Non vuole togliersi la giacca? Si vergogna della sua pancia troppo prominente? Non vuole più esagerare col cibo?
Non scherzi caro direttore, io davvero non le credo. Non è stato proprio lei, con la sua banca, che ci ha insegnato quanto sia semplice indebitarsi col proprio futuro?
E allora si rilassi e sia buono con se stesso, mangi un altro manicaretto. Della linea si occuperà domani, in palestra ci andrà domani, ad agire ci penserà domani.
Stasera è troppo buio, la sua banca sta fallendo e Al Jazeera annuncia che gli Stati Uniti stanno perdendo la guerra in Iraq. Stasera c’è bisogno di calore, di felicità sicura, di cuscini morbidi dietro le spalle.

Allora si sieda al tavolino, direttore.
Le servo un piatto di baklava zuppi di miele e un bicchiere di tè al gelsomino.
Si appoggi allo schienale, direttore, e chiuda gli occhi.
Fuori dal negozio, non c’è proprio nulla da vedere.
Le vetrine si stanno riempiendo dei riflessi rosa del tramonto, mentre il ghiaccio degli uffici si scioglie dentro le metropolitane.
Le villette di Dulwich si stagliano nella luce dei lampioni come lo scenario di cartone di una fiaba, a cui il peso dei mutui sta rosicchiando le impalcature.
Suo figlio ha calato il cappuccio sulla testa e sta comprando sacchetti bianchi dagli immigrati di Rye Lane, mentre sua moglie passeggia col cane nei parchi, in equilibrio precario sui tacchi. E dietro i suoi capelli bianchi, direttore, molto poco è rimasto di allegro, dietro le strisce numeriche dei suoi investimenti falliti. Il mondo collassa troppo rapidamente e alle domande dei suoi clienti lei non sa proprio come rispondere.

Chiuda gli occhi, e beva un sorso di tè al gelsomino.
Attorno a lei, tutti i tavolini sono carichi di altri di occhi chiusi.
Chiuda gli occhi, direttore, chiuda gli occhi.

Perché a volte, caro amico, le domande più difficili non possono proprio essere risolte.


Sinceramente vostro

Khaled Sciurba

1 commento:

paulmoss ha detto...

"The answer, my friend/
is blowing in the tea...
The answer /
is blowing in the tea."

:)