sabato 7 marzo 2009

shawarma/ non buona la prima

care minds,
scusate se riposto quetso racconto, ma l'ho modificato parecchio e vorrei chiedervi dei commenti prima di mettermi a tradurlo in inglese (che è uno sbattimento..)
grazie!
vostro
F


Shawarma di agnelli


Gentile Direttore,

Le scrivo in riferimento alla richiesta di un mutuo per l’apertura di un negozio di kebab nel quartiere di East Dulwich, a Londra.

Come lei sa, East Dulwich è una splendida zona di villette e bistrot alla periferia sud della città, un’oasi di reddito a poche centinaia di metri dai campi di condomini dove spiaggiano gli immigrati di prima generazione.
Come può dedurre dal mio nome, anche io sono tra loro.
In tutta onestà, gentile Direttore, anche soltanto questo potrebbe bastare a convincerla dell’opportunità di accordarmi un prestito: una volta messo piede in Dulwich, niente al mondo potrà farmi tornare indietro. Il suo prestito verrà ripagato e il mio negozio prospererà, fino a che i figli dei miei figli non avranno penetrato fino in fondo le radici del benessere.
Eppure, lo capisco, tutto questo a lei non può bastare. Non mi illudo di poterle spiegare l’anima di un immigrato.

Lei mi chiede un ‘progetto’, una descrizione dei punti di forza della mia idea, del perché e del come il mio negozio riuscirà ad aver successo. Lei mi chiede di tagliare in nero e bianco la forma delle mie ambizioni su questi pochi fogli di carta.
Gentile Direttore, perdoni l’ardire di ciò che sta per leggere, ma io ho onestamente provato a scrivere il ‘progetto’ come lei mi aveva richiesto, e non ci sono riuscito.
Ma del resto, vorrei chiederle, sarà poi davvero un progetto a risplendere sui limpidi marciapiedi di Dulwich? O sarà piuttosto la luce gialla e verde dell’insegna del mio negozio?

E dunque, se permette, la invito ad addentrarsi con me ben dentro la mia visione, ad attraversare i pavimenti sudici di Rye Lane, i cunicoli che si aprono tra le bancarelle di frutta marcia degli Africani, la invito a camminare con me lungo le stradine nei parchi di siringhe che circondano Dulwhich. Mi segua, finchè i condomini dove viviamo noi e i nostri sogni minuscoli scompaiano dietro le siepi potate di fresco e le strade si facciano di colpo pulite. Mi accompagni fino a Dulwich, dove le giovani madri allattano neonati biondi sedute ai tavolini dei caffè. Proprio lì, tra le boutiques di vestiti per bambini e le profumerie ecologiste, potrà vedere splendere il neon dell’insegna del mio negozio di kebab.

Non si disturbi a farmi complimenti di maniera, mi sono già accorto del suo sguardo perplesso. Un negozio di kebab – si sta chiedendo – perché qualcosa del genere dovrebbe avere successo, a Dulwich?

Ancora una volta, perdoni il mio ardire e abbia la bontà di seguirmi nel negozio.
Annusi l’aria densa di odori e guardi pure le mie mani muoversi tra le vaschette traboccanti di condimenti, il forno dove si scalda la pita e il girarrosto lucido di carne. Si metta comodo, apra la giacca e dia un’occhiata intorno, mentre le preparo il migliore kebab che abbia mai assaggiato.
Guardi il mio negozio, è il caleidoscopio intero di quell’oriente spaventoso che la gente sogna nelle vasche da bagno. Un televisore sintonizzato su Al Jazeera, le foto della Mecca appese alle pareti, un ritratto di Khomeini incorniciato, la musica da discoteca marocchina, i baffi da sicari dei camerieri… C’è tutto il brivido del terrorismo trasmesso in tv, la luce soffusa delle lampade in ferro battuto, l’odore delle spezie, i versetti del corano stampati sul bancone. Nel mio negozio ci si può sfamare e riposare, restare fermi sulle sedie a sentire la paura, e poi sciogliersi sulla lingua la tenerezza del calmante, di quella gioia che si può comprare con pochi spiccioli.

Ecco a lei, Direttore, il suo shawarma di agnello è pronto.
Che ne pensa della carne quasi liquida, della la crema che le si spande in bocca? Sente le striature piccanti dei peperoncini e la freschezza dei pomodori, come giocano nelle sue guance?
Vedo già la sua risposta stendersi sugli angoli della bocca, e mi permetta di sorridere insieme a lei. Sì, mio caro direttore, si può fidare: adesso è tutto vero. Non c’è bisogno di sforzi, di illusioni, di coraggio o fede. Questa felicità è pura, e non chiede nulla in cambio.

Le lascio il tempo di finire e di pulirsi la bocca.
E le lascio tre righe di silenzio, per ricordare i sapori.



E ora, mio caro Direttore, dopo aver gustato questa dolce verità, la invito a fidarsi di me ancora una volta. Richiuda la giacca, e mi segua per un attimo fuori dal negozio.
Adesso, la prego, si guardi attorno. Si guardi dentro.
Che cosa vede, adesso?
Come le sembrano, adesso, i sorrisi delle giovani madri e quelli dei loro giovani mariti? Non vede come splendono simili lo smalto delle loro unghie e le carrozzerie delle loro macchine? Per strada, nei convenevoli e nelle risate della gente, riesce a vedere qualcosa di altrettanto vero, di altrettanto gioioso del sapore morbido della carne di kebab? Le signore passeggiano, gli uomini portano borse ventiquattrore, ma lei saprebbe, adesso distinguere le persone dagli alberi, dai muretti a secco, dal paesaggio?

Si appoggi alla mia spalla, Direttore. Davvero non volevo farle del male, ma era necessario per farle capire che cosa io davvero le abbia offerto. Mi perdoni, e torni dentro con me. Prenda posto a un tavolo, si tolga la giacca e accetti le mie scuse insieme a un piatto di felafel croccanti.
Come, non vuole togliersi la giacca? Si vergogna della sua pancia? Non vuole esagerare col cibo?
Non scherzi caro Direttore, davvero io non le credo. Non è stato proprio lei, con la sua banca, che ci ha insegnato quanto sia semplice indebitarsi col proprio futuro?
Si rilassi, adesso, e sia buono con se stesso.
Se lo vorrà, della sua linea si occuperà domani, in palestra ci andrà domani. Ma stasera è davvero troppo buio per mettersi alla prova. Stasera c’è bisogno di calore, di felicità sicura, di cuscini dietro le spalle.

Chiuda gli occhi, Direttore. Fuori dal negozio, non c’è proprio nulla da vedere.
Il ghiaccio degli uffici si sta sciogliendo dentro le metropolitane, risucchiando anche il disordine di tutte le sue mogli, aggrappate all’equilibrio dei tacchi. Le televisioni dicono che oggi cento uomini sono esplosi nei mercati e che, qualunque guerra sia, noi la stiamo perdendo. Non sente il ringhiare dei cani con le code mozzate, l’assottigliarsi delle fondamenta delle case? Non vede il necrologio della sua banca in prima pagina?

Resti sotto le luci tenui del mio negozio, e assaggi questi baklava zuppi di miele e gelsomino. Fuori da qui, nei corridoi dei suoi club esclusivi, nelle feste nei salotti, per lei non c’è nient’altro che l’impotenza degli specchi. E adesso è troppo tardi per accorgersi di non avere più gambe per alzarsi in piedi e scappare altrove.
Resti seduto, Direttore, e assaggi la mia verità, aspettando il giorno in cui tutte le macchine delle periferie prenderanno fuoco e riesumeranno l’alba.

E mi accordi il prestito, Direttore.
Lo consideri un prestito a se stesso. Il mio negozio sarà sempre per lei una tenda da beduini in cui poter dimenticare il deserto. Di me si potrà sempre fidare, della mia verità che si può stringere tra i denti.
Mi conceda il prestito, perché presto saranno in molti a elemosinare l’ultimo bagliore di riposo, e lei sarà tra loro. Mi accetti a braccia aperte, come la sua ultima speranza e il suo tramonto, perché è a causa di tutto ciò in cui ha creduto fin’ora, che adesso deve credere in me.

Mi accetti con un sorriso, abbia fiducia. Ci sarà sempre un posto per lei, nel mi negozio, quando vorrà qualcuno che le rimbocchi le palpebre.


Sinceramente vostro

Khaled Sciurba




Federico Campagna
6 Marzo 2009, London

2 commenti:

Anonimo ha detto...

L'idea c'è ed molto buona. La fretta però ti porta a peccare un po' di superficialità. Ci sono molti troppi sottintesi, per la fantasia del lettore ci vuole una guida più ferrea.
Un po' troppa carne al fuoco, troppi accenni e pochi sviluppi. Non aver paura di andare a fondo nelle cose. Io aspetterei un attimo a tradurlo. Inoltre la costruzione di alcune frasi non è così limpida, diciamo che non faciliti la lettura.

paulmoss ha detto...

Sono d'accordo con la Fra, in linea di massima..
sai che ti dico? a una prima ri-lettura, mi è piaciuta di più la prima versione. Forse perché l'ho trovata più scorrevole e "poetica". La seconda sembra un po' macchinosa in alcuni punti. L'idea di fondo mi piace, e molto. Però cercherei di renderla meno "strumentale" alla poetizzazione del testo, e di indirizzarla verso una possibile "spendibilità" dello stesso...
Ti scriverò a breve perché è da molto che non ci sentiamo, così magari mi spiegherò meglio..!
un abbraccio