L’idea di questo genere di post mi è venuta parlando con la Gaia, sono tutta una serie di spunti di riflessione sulla realtà contemporanea che ci circonda. Riflessioni per un futuro progetto pensato in una sera sbronze alle colonne.
Dal Mito di Sisifo di Camus
Le muraglie assurde
«Tutte le grandi azioni e tutti i grandi pensieri hanno un inizio di poco peso. Le grandi opere nascono spesso alla svolta di una strada e alla bussola di una trattoria. Così è l’assurdo.
Il mondo assurdo, più di qualsiasi altro, fa risalire la propria nobiltà a quella misera nascita. In alcune situazioni, il rispondere: “niente” ad una donna circa la natura dei propri pensieri, può essere, nell’uomo, una finta. Lo sanno bene le persone amate. Ma se questa risposta è sincera, se rappresenta quel particolare stato d’animo in cui il vuoto diviene eloquente, in cui la catena dei gesti quotidiani viene interrotta e il cuore cerca invano l’anello che la ricongiunga, è allora come il primo segno dell’assurdo.
(…)
Soltanto, un giorno, sorge il “perché” e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore. “Comincia”, questo è importante. La stanchezza sta al termine degli atti di una vita automatica, ma inaugura al tempo stesso il movimento della coscienza, lo desta e provoca il seguito, che consiste nel ritorno incosciente alla catena o nel risveglio definitivo.
Dopo il risveglio viene, col tempo, la conseguenza: suicidio o ristabilimento.
In sé, la stanchezza ha qualche cosa di disgustoso, ma in questo caso, è vantaggiosa. Infatti, tutto inizia per mezzo della coscienza e nulla ha valore senza di questa.»
Il ruolo dell’arte è mostrare l’assurdo, produrre l’evento insignificante che porta alla risposta niente e alla domanda perché. Per destare la coscienza dell’osservatore l’opera d’arte dovrebbe essere di facile accesso, semplice e addirittura banale. L’opera non dovrebbe essere citazionistica, non deve prevedere uno studio o un sapere di qualche tipo per essere apprezzata, né dovrebbe spingere verso un sapere o uno studio.
Dovrebbe perpetuare un viaggio ripetitivo nella banalità, lasciando allo spettatore la possibilità di assopirsi definitivamente o di risvegliarsi come reazione naturale ad una saturazione, facendo traboccare il malessere interiore.
Il tempo è la dimensione fondamentale, il tempo e la morte. Qui risiede l’insolvibile ossimoro della nostra esistenza: la nostra costante ribellione al passare del tempo e all’avvicinarsi della morte.
«Viviamo facendo assegnamento sull’avvenire: “domani”, “più tardi”, “quando avrai una posizione”, “con l’età comprenderai”. Queste incoerenze sono straordinarie, dato che, alla fine dei conti, si tratta di morire.»
L’opera non dovrebbe puntare ad un’eternità, ad una procrastinazione del suo essere. L’arte dovrebbe essere una rivolta del qui ed ora al rapporto con il tempo. Il compito dell’artista dovrebbe essere quello di travisare l’abitudine, trasformare i gesti a noi tanto cari perché conosciuti e ripetuti giornalmente in qualcosa di sconosciuto attraverso la ripetizione e la riproduzione.
Si tratta di un’arte totale che coinvolge la vita a 360° gradi. Solo la messa in mostra di una quotidianità può influenzarne un’altra. L’esempio e l’assimilazione sono il primo metodo di scambio e d’insegnamento.
Il punto focale è mettere in mostra come nessuna morale, nessuno sforzo sono giustificabili a priori in nome di un qualcosa che avverrà, è stupido di fronte alla «sanguinante matematica» che regola la nostra esistenza. Ciò che l’arte dovrebbe fare è metterci nella condizione di accettazione della fine. L’unica soluzione che il nostro corpo conosce nel futuro è la morte.
Appare quindi paradossistica un’arte votata alla trasmissione e all’eternità. La perpetuazione di una discussione fatica attraverso l’arte non può che portare alla nausea e non a una situazione di decisione tra l’anestesia e il risveglio.
L’opera deve portare il suo osservatore alla stanchezza, indurlo a ripetere gesti meccanici finché non si arrivi al punto in cui la stanchezza porti alla coscienza. L’arte dovrebbe essere fisica, oltre che visiva. L’importante è mostrare le connessioni assurde, non indagare le risposte o le loro conseguenze. Come in letteratura, l’artista deve costruire delle realtà verosimili, ma deve lasciare dei vuoti che il lettore può riempire come gli pare più opportuno.
Le mostre non dovrebbero essere dei percorsi guidati verso nuove soluzioni, ma solamente una ripresa della banalità che metta in risalto l’impossibilità di un’affermazione a priori, di un metodo programmatico. L’unico scopo è la stanchezza di gesti ripetitivi e inconsapevoli. Bisogna evidenziare la lapalissiana esigenza di familiarità che ci spinge a pensare e a creare teorie, movimenti e rivolte. Non sono altro che un modo per raggiungere l’unità e dare spazio alla voglia di assoluto. Ecco il teatro dell’assurdo umano.
Questo bisogno esiste, ma non è detto che debba essere colmato.
«Questa nostalgia di unità, questa brama di assoluto spiega lo svolgimento del dramma umano nella sua essenza. Ma l’essere questa nostalgia una realtà di fatto, non implica che essa debba venire immediatamente appagata, in quanto se, superando l’abisso che separa il desiderio dalla conquista, asseriamo con Parmenide la realtà dell’Uno (qualunque esso sia), cadiamo nella ridicola contraddizione di uno spirito che afferma l’unità totale e priva, con la sua stessa affermazione, la differenza e la distinzione che prevedeva di risolvere. Questo circolo vizioso è sufficiente per soffocare le nostre speranze.»
Ed è proprio questo il circolo in cui si vede rinchiusa gran parte dell’arte contemporanea, specie quella di chi la produce volendo provocare un cambiamento futuro o cercando solamente un benessere estetico.
L’annientamento della speranza deriva principalmente dalle azioni dei suoi più strenui sostenitori, come i rivoluzionari o gli esteti.
Per questo l’arte non dovrebbe essere rivoluzionaria o bella (nel senso greco del termine). L’arte rivoluzionaria e l’arte bella ci portano inevitabilmente al divorzio con le nostre creazioni, a quel senso di vuoto che segue l’euforia iniziale. Il problema di questo genere di artisti sta nel rapporto fra ciò che immaginano di sapere e ciò che realmente sanno, fra il consenso pratico e l’ignoranza simulata. Se provassero veramente questo genere di dicotomie, sconvolgerebbero totalmente tutta la loro e la nostra esistenza portando all’unità e alla nostalgia; ma, al primo movimento della coscienza, queste costruzioni saranno rovinate e distrutte riportandoci verso una disperata ricerca di pace.
La storia del pensiero umano è la storia dei suoi pentimenti. Bisogna accettare i limiti della nostra conoscenza.
Noi saremo sempre esterni a noi stessi. L’unico pensiero reale è quello ingiusto.
L’opera d’arte dovrebbe essere un divorzio tra diverse realtà, non è nella realizzazione in sé, ma nel confronto con lo spettatore. L’opera deve esistere nell’intercapedine tra l’uomo e la realtà mostrata dall’artefatto. La mancanza di uno dei due è la distruzione dell’opera.
lunedì 10 agosto 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
fra dobbiamo parlarne. è urgente
Posta un commento