lunedì 3 agosto 2009

D come Denaro.

Non ricordo, in nessun momento della mia vita, di avere sentito un particolare attaccamento al denaro. Non certo da bambino, quando sapevo che certo, soltanto per colpa del mutuo sulla casa molte comodità mi erano impedite, ma che in fondo si trattava di lussi di cui si poteva anche fare a meno. E da ragazzo, quando alternavo l’acquisto settimanale di Dylan Dog e Spider Man con qualche puntatina dal venditore di videogames taroccati all’angolo di Piazza Dante, anche allora sapeva che il denaro non avrebbe mai comprato null’altro che giochi, moltiplicandoli per cento, mille forse, ma lasciandoli nella loro essenza di giochi, pur con forma diversa. Parlare di denaro, e soprattutto di risparmio, con gli amici mi irretiva (non che fossi uno spendaccione, anzi!) e mi rendeva ancora più allergico alle banconote. L’odio che nutrivo per il denaro però non aveva nulla di filosofico, o di ideologico. Tutt’altro. Ero talmente consapevole della sua importanza terrena da averne paura, o angoscia. Spesso lo avevo detestato a tal punto da chiedersi come sarebbe stato bello averne così tanto da poterlo poi dimenticare.
Chi non ama parlare dei soldi, in realtà, si sente colpevole per quanto ne diventerà schiavo.

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