Mezzo secolo di epopea individuale collettiva, vista attraverso gli occhi dell'antico borgo palermitano di Bagheria, luogo natale di Tornatore e fucina inesauribile del suo immaginario filmico. Affresco a tratti poetico e toccante ma molto più spesso retorico e artificioso, come le scenografie ricostruite in quel di Tunisi. Cita com'è ovvio le atmosfere di Cinema Paradiso, ammicca al neorealismo rosa di Matarrazzo e Nazzari, fa il pieno di comparsate celebri anche se un po' insensate (Bova giornalista e Bellucci tanto per cambiare puttana). E' un'abbondanza (e una ridondanza) che però riempe gli occhi ma non il cuore. Tornatore è uno dei nostri pochi registi "internazionali", eppure profondamente siciliano; il suo è un cinema potente e generoso, che fa bene: ma quando è impegnato in megaproduzioni d'epoca, vedi la leggenda del pianista sull'oceano, non riesce proprio a trattenersi dall'essere sovratono.
Voto: ***
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