Ciao meltingminds,
scusate il furto di spazio... :)
qui sotto posto un nuovo raccontino.
visto che è un racconto..."generazionale"...sarei felice se voleste darci un'occhiata e lasciare un commento.
vorrei lavorarci un po' sopra e i commenti sono utilissssssssssimi!
grazie a tutti i volenterosi
F
HOME/LA CASA
Scendo le scale con il laptop sottobraccio. Gli scalini sottolineano i passi scricchiolando pericolosamente. Evito il penultimo, la cui asse ha già ceduto.
Sulla tavola del seminterrato ci sono i resti di diverse cene, sigarette spente nei bicchieri e alcuni libri. Cammino con cautela tra gli oggetti che pendono dai divani e dalle poltrone.
I miei tre coinquilini sono andati a una festa, mentre io sono rimasto a casa a smaltire la febbre. Appoggio il laptop su un tavolino nero. Mentre i programmi si risvegliano ronfando nella loro scatola argentea, vado a prendere un po’ d’acqua in cucina.
Viviamo in una strada silenziosa. Non ci sono molte macchine nemmeno di giorno. La sera passano soltanto i ragazzi delle gang con i loro cani.
Trovo posto su una vecchia poltrona verde con i braccioli in legno. La poltrona è molto comoda e faccio finta di non aver notato che lo schermo è già illuminato dalla gonna rossa del derviscio che fa da sfondo al desktop. Chiudo gli occhi.
Il giorno prima ero stato a giocare a biliardo con Joe e Francesca, in un pub dell’east end. Le luci del locale erano coperte da gelatine rosse. Molti degli avventori avevano le rughe sulla faccia. Il tavolo da biliardo era più piccolo di quelli normali. Un signore, basso, con i capelli anneriti artificialmente e un giubbotto di pelle troppo ampio, aveva fatto un paio di partite con noi. Durante la partita, tra un tiro e l’altro, andava a mettere le monetine in una macchina da poker.
Lo schermo, stanco di aspettarmi, si è spento. Lo rianimo con un tocco alla tastiera, cerco tra i file il documentario su Bifo.
Radio Alice, il 77, Bologna, Bifo, l’Autonomia.. Sono anni che vivo con un piede nel passato. Non c’è, poi, molta differenza con il resto delle persone che conosco. I miei coinquilini e i loro amici, tutti studenti presso un college d’arte, fanno del vintage la loro bandiera estetica. La mia ragazza si veste anni cinquanta. Io sogno il passato recente.
La nostra casa è perfettamente silenziosa.
Bifo inizia a parlare nel rimbombo della sua casa vuota.
Il documentario racconta le vicende della casa in cui nacque Radio Alice e che, all’epoca del film, era oggetto di un’ingiunzione di sfratto per i suoi residenti. Raccogliendo pile di libri negli scatoloni, Bifo e i suoi compagni raccontano la storia di quell’appartamento, le sue avventure come centro di “movimento” negli anni settanta, il suo utilizzo come ostello non ufficiale per chiunque vi cercasse posto.
Rollo una sigaretta.
Metto in pausa e vado a cercare una piccola bottiglia di whisky che sono sicuro di aver visto da qualche parte. Gli attrezzi da scultore di Theo formano una catasta sul ripiano della cucina. Trovo la bottiglia, contornata da una corona di bucce di arancia. Torno a sedermi.
Bifo descrive ad uno ad uno gli ambienti della casa. Qui un tempo sorgeva una pedana destinata alle discussioni, qui pendevano delle amache messicane, qui c’era dipinto sul muro il profilo di un tempio indiano.. Se lasciavi il letto per più di qualche giorno – prosegue – era probabile che lo trovassi occupato da qualcun altro.
Mesi prima ero tornato a casa all’alba.
Ero stato a trovare una ragazza, ma le cose non erano andate come avrei voluto. Sulla strada di casa, avevo trovato una grossa poltrona di pelle nera, che adesso funge da ripiano per i vestiti nella mia stanza. Me l’ero caricata sulla testa e, barcollando sotto il peso, avevo raggiunto faticosamente la porta di ingresso. Ero entrato sbattendo contro le pareti. Pochi passi prima di raggiungere la mia stanza, qualcuno ne era uscito in fretta. Tu chi sei? Gli avevo chiesto. Lui era rimasto un attimo a osservare la sagoma scura di un paio di gambe che si concludevano in un grosso quadrato di pelle nera luccicante. Tu cosa sei? Mi aveva chiesto. Poi aveva raccolto da terra dei calzini e si era diretto al piano di sotto.
Sullo schermo del laptop continuano ad alternarsi diverse figure, ciascuna con una propria piccola storia della casa. Facce invecchiate, barbute, dimagrite da quella che loro stessi chiamano “la nostra sconfitta”.
Adesso, dalle finestre sulla strada, filtra densa la notte. Lo schermo è l’unica luce rimasta nella nostra casa. Tutt’attorno il disordine forma la shilouette ininterrotta di una bizzarra catena montuosa dopo il tramonto.
Il documentario prosegue. Altri testimoni parlano.
Parlano e parlano..
Mi distraggo, sena nemmeno dover chiudere gli occhi.
Sento le loro voci di sottofondo, il loro ricordare che continua a edificare costruzioni inverosimili nel mio immaginario.
Anch’io vivo nel caos. E la nostra casa ospita ogni settimana volti nuovi. Anche noi parliamo di politica, di arte, di sessualità, di misticismo e rivoluzione.
Però nessuno verrà un giorno a intervistarci, a chiederci cosa sia successo.
Questo nostro disordine è un’alchimia intima, personale. Come bagliori di fuochi che si intrecciano, ma che non dilagano oltre il proprio calore.
Il documentario dura ancora qualche minuto.
Nella casa di Bifo ora non c’è più nessuno, solo due ragazzi del trasloco che staccano un televisore e se lo portano via. Qualche secondo di musica.
Lo schermo diventa nero.
Dalla strada rimbalza l’eco di un’autoradio jamaicana.
Ripenso al silenzio di John Cage.
Ripenso a quello della nostra casa.
Il nostro è un silenzio senza pianoforte. Senza pubblico.